Lo scorso settembre il Commissario prefettizio che ora guida le sorti del Comune di Manduria, Città del Vino da dodici anni, ha deliberato per l’uscita dall’Associazione. La decisione però non è passata sotto silenzio
L’annuncio che il Commissario prefettizio di Manduria (il comune è commissariato in seguito alle dimissioni dell’ex sindaco Paolo Tommasino) di deliberare per l’uscita del comune dall’Associazione Nazionale Città del Vino ha infiammato l’opinione pubblica locale. Sulla stampa e sulle pagine web si è scatenato un tam tam di dichiarazioni, critiche, pareri, appelli contro questa decisione.
Tutto è iniziato con la pubblicazione della delibera di recesso firmata dal Commissario Lombardo con la presunta giustificazione sull’inutilità, soprattutto in tempi di tagli alle spese, di pagare una quota annuale all’Associazione quando “non si sono registrati per il Comune di Manduria benefici diretti”. A questa notizia sono immediatamente seguite le dichiarazioni in senso opposto da parte di produttori locali e associazioni di categoria, in particolare il presidente del GAL, Ernesto Soloperto (noto produttore vitivinicolo) che ha dichiarato: «Avessimo saputo della decisione avremmo pagato con i soldi del Gal o ci saremmo tassati noi produttori del consorzio di tutela, ma nessuno ci ha convocato e abbiamo appreso la notizia dalla stampa locale, quando ormai era troppo tardi».
Nella storia di Città del Vino si sono da sempre avvicendati agli ingressi di nuovi soci i recessi di vecchi aderenti e negli ultimi anni la crisi economica e una politica governativa fortemente penalizzante per le amministrazioni locali, ha reso molto difficile per alcuni comuni contribuire con la propria quota annuale alle attività dell’Associazione.
Perché proprio il recesso di Manduria ha fatto così tanto scalpore?
Probabilmente perché Manduria è l’ambasciatrice del Primitivo e rappresenta per questo uno dei territori vitivinicoli più importanti della Puglia e del Sud Italia, quindi basterebbe solo questo a fare notizia. Ma credo ci sia qualcosa di più.
Mai si era verificato che produttori, Consorzio di tutela, GAL e altre associazioni culturali che operano in loco si fossero così fortemente e dichiaratamente opposti a una delibera di recesso. Nomi prestigiosi dell’enologia pugliese (tra di loro Angelo Maci, presidente di uno dei fiori all’occhiello dell’enologia pugliese, la Cantina Due Palme di Cellino San Marco) si sono dichiarati contro questa delibera, così come ufficialmente lo hanno fatto l’ambasciatore di Città del Vino Antonio Cavallo (ex sindaco della vicina Lizzano) e il coordinatore delle Città del Vino di Puglia Oscar Marzo Vetrugno, sindaco di Novoli (LE) con una nota stampa che sottolineava come il “venir meno a una rete importante come quella delle Città del Vino è un grave segnale di resa”. La nostra sede nazionale è stata coinvolta da numerose richieste d’intervento contro questa deliberazione data come per “subita”.
Quello che ha scatenato le voci dei media locali è stata quindi la vera e propria rivolta contro questa decisione che, probabilmente, con il dovuto rispetto per il ruolo e le competenze, è stata presa forse ignorando il valore aggiunto che sta dietro l’appartenenza ad una associazione come Città del Vino. Qualcuno lo ha fatto notare: “Spiegare a un burocrate piovuto da Roma i benefici indiretti della partecipazione alle Città del Vino è impresa ardua” (Intravino.com, 14 settembre 2012 n.d.r.). Quello cioè che va assolutamente compreso – forse non siamo stati abbastanza efficaci noi dell’Associazione nel chiarirlo? – è che spesso essere una Città del Vino significa avere dei vantaggi indiretti. Far parte di questa organizzazione non comporta solo ricevere dei tangibili riscontri, ma vuol dire avere l’opportunità di poter rispondere a degli stimoli, di sfruttare degli strumenti generali che vengono messi a disposizione.
Non stiamo ora ad elencare le numerose iniziative che Città del Vino propone ai suoi soci e che spaziano dagli strumenti per la tutela del paesaggio agricolo e vitivinicolo, alle opportunità di crescita nel comparto enoturistico, dalla possibilità di interloquire con gli organi del governo centrale alle battaglie in difesa del vino di qualità. Quello che importa è che maggiore è la risposta di un Comune a queste sollecitazioni, maggiore sarà la ricaduta sul suo territorio.
Se non si assimila pienamente questo concetto di compartecipazione, allora far parte di questa rete può apparire inutile e la quota annuale partecipativa può finire tra le sforbiciate della spending review, tanto per usare un termine tanto attuale; così Manduria non ha certo bisogno dell’Associazione per definirsi una città del vino, almeno di quelle con l’iniziale minuscola.
La scelta di far parte di questa rete è una decisione politica presa dall’amministrazione comunale che non deve però rimanere un atto dimenticato negli archivi amministrativi della sede municipale. Deve invece essere una decisione condivisa sul territorio, che coinvolga prima di tutto gli operatori del settore vinicolo e di quelli a esso connessi, come il turismo e la gastronomia.
La questione d’amletica memoria quindi non è essere o non essere una Città del Vino, ma essere o non essere una Città del Vino “consapevole”.
La vera anomalia del “caso Manduria” quindi, che è alla base del tanto scalpore creatosi, nasce forse da un processo che definirei fortemente emblematico: la decisione di aderire a Città del Vino, pur nata regolarmente in sede amministrativa, è stata resa talmente propria dalle aziende del territorio che spesso sono state le dirette interlocutrici con l’Associazione, le stesse aziende che proprio per questo hanno tenacemente rivendicato un ruolo in merito alla disputa sull’eventuale recesso.
L’Associazione Città del Vino quindi vuole unirsi senza polemica al coro di voci che si è alzato contro l’uscita di Manduria dalla sua rete e si augura che questa non sia una decisione irrevocabile. Non annoverare Manduria tra i propri soci è anche per l’Associazione una grave perdita: per l’importanza del suo ruolo nell’enologia italiana; per tutta l’attività di dodici anni insieme che andrebbe almeno in parte perduta (la Convention delle Città del Vino a Manduria, le medaglie della Selezione del Sindaco attribuite ai vini manduriani, i numerosi articoli sulle nostre testate, la rete di rapporti sul territorio… ) e infine per il forte coinvolgimento dei produttori quale inequivocabile segnale di un lavoro sinergico che era stato ben costruito. Fino ad ora.
“Articolo originale su Terre del Vino:http://terredelvino.net/it/articolo/manduria- essere-o-non-essere-una-città-del-vino