Alla scoperta del Salento: il Monastero di Santa Chiara

A pochi passi da piazza Sant’Oronzo si erge il monastero di Santa Chiara, annesso alla chiesa omonima. Fondato probabilmente tra il 1410 e il 1430 da Tommaso Ammirato, dei padri conventuali di S. Francesco, successivamente vescovo di Lecce – al cui casato appartiene Scipione Ammirato, famoso letterato e storiografo leccese – il monastero sarebbe sorto sulle rovine di alcune case. Altri studiosi, invece, ritengono che esso sia stato edificato con il lascito di un facoltoso nobile del tempo, Antonio di Giovanni de Ferraris che, senza figli, avrebbe donato al Ministro provinciale dei francescani una casa e tutti i suoi beni (il cui valore sarebbe stato di tremila ducati). Ma due iscrizioni – di cui una fu trovata nel chiostro dei padri conventuali di S. Francesco e l’altra (dedicata alla sorella di Scipione Ammirato che era una clarissa) è tuttora leggibile sull’altare maggiore della chiesa di S. Chiara – fanno propendere per la prima ipotesi: che il monastero sia stato fondato proprio da Tommaso Ammirato e che la sua famiglia annoverasse diversi membri all’interno del convento. Il legame del monastero con gli Ammirato è testimoniato, ancora una volta, dal testamento di Scipione, con cui egli lascia al convento una parte delle rendite annue e alcuni beni mobili.

Le notizie che possediamo sul convento sono contenute in pochissimi documenti, conservati nell’archivio di un altro monastero di Lecce, quello delle Benedettine, presso la chiesa di S. Giovanni Evangelista e in quello della Curia Arcivescovile di Lecce, in cui sono raccolti i decreti delle visite pastorali dei vescovi che si sono succeduti dal 1668 al 1907. Da tali documenti è possibile conoscere quante fossero le stanze del convento, gli arredi delle celle delle clarisse e il numero delle suore, delle novizie, delle educande e di coloro che servivano il monastero. Sono riportate anche le disposizioni sul silenzio nel dormitorio, nel refettorio e nel coro, quelle che si riferiscono alla clausura sulla scorta di quanto è detto nelle regole dell’Ordine e le prime testimonianze sul precario stato di conservazione della struttura. In un altro testo si dà notizia della benedizione della prima pietra della nuova chiesa nel maggio del 1687 (che sarà terminata nel 1691). È opportuno menzionare il questionario del 1747 fornito dalla Curia arcivescovile alla Badessa sullo stato generale del monastero. Da esso si evince che le celle delle monache sono venti, che esistevano tre dormitori e un refettorio, una dispensa e due grate nel parlatorio. Vi è poi una descrizione dettagliata della chiesa a forma ovale con il soffitto e il controsoffitto di legno e con l’enumerazione dei sette altari e il relativo elenco dei santi titolari. Sono citati, inoltre, i nomi delle trentuno monache presenti nel monastero ed è indicata pure la somma di millecento ducati che le novizie e le educande dovevano versare per la monacazione e quella che doveva servire al loro sostentamento. Sempre nello stesso questionario sono enumerati i possedimenti del monastero – oliveti, terreni a semina e masserie – e le imposte da versare su tali beni.

Ma le condizioni del monastero andarono sempre più peggiorando e le spese per la manutenzione costituivano un peso notevole nella gestione complessiva del convento. Nel 1837 si demolì, quindi, la vecchia struttura e si consolidarono le fondamenta. Dopo due anni di lavori, con una spesa di circa cinquemila ducati, il nuovo edificio poteva ospitare diciotto clarisse, diciassette educande e ventidue collaboratori. Però la vita all’interno della comunità monastica era all’insegna del sacrificio: con la vendita dei beni di proprietà si erano coperte appena le spese per la riedificazione del convento, cosicché le suore vivevano solo delle offerte di altre consorelle e dei devoti.

E con il decreto di soppressione dei beni ecclesiastici del 17 febbraio 1861, con cui il monastero fu privato di tutti i suoi beni residui che furono ceduti in parte al demanio e in parte a comuni cittadini, le clarisse, ormai ridotte di numero, rimasero nel monastero fino al 1866, anno in cui si trasferirono presso le suore benedettine di S. Giovanni Evangelista.

Per ciò che concerne l’attuale struttura è necessario che le istituzioni e gli enti preposti al recupero dei beni architettonici sappiano riconoscerne il valore storico e culturale, promuovendo la rivalutazione di questo antico monastero.

Gionata Quarta