Di Giuseppe Nicolardi ne ho sempre ammirato la semplicità, la voglia di fare e di esserci. Per gli altri, non per se stesso. Non ha preteso alcun riconoscimento, non si è mai rivelato al pubblico. Eppure avrebbe potuto farlo, come quella sua firma sul mosaico… Vi dirò perché.
Mercoledì scorso camminando vicino casa, ho intravisto in lontananza la figura di un uomo, di statura piuttosto bassa, che procedeva con passo spedito nella mia stessa direzione. Avevo appena sbrigato alcune mie faccende e stavo per raggiungere l’auto quando, avvicinandomi, ho riconosciuto in lui un caro amico di famiglia che, fra l’altro, non vedevo da diverso tempo: Giuseppe Nicolardi.
Vi chiederete chi sia anche se il suo cognome lo avrete di sicuro letto da qualche parte, magari potrete averlo notato mentre ammiravate lo splendido mosaico di Piazza Sant’Oronzo. Ecco, diciamo che Giuseppe Nicolardi, al pari dei più conosciuti artisti leccesi, ha lasciato a suo modo un segno indelebile nella storia artistica della città. Indelebile come ogni singola pietra incastonata che forma quel mosaico che ne raffigura perfettamente lo stemma, la cui descrizione araldica recitava così: “d’argento alla lupa passante di nero, attraversante il fusto di un albero di leccio di verde, sradicato e ghiandifero d’oro”. Lecce si riconosce ancora nella lupa che sosta sotto ad un leccio, malgrado non ci siano più né i lecci né tantomeno le lupe.
Giuseppe Nicolardi è dunque l’autore di questa importante opera, un autore che nel silenzio ha sempre votato la propria vita al sacrificio, al lavoro e alla famiglia senza pensare al voler “apparire”. Per me è stata una piacevole sorpresa incrociarlo e quando ci siamo salutati ho notato in lui lo stesso dinamismo di qualche anno prima. Come da mia abitudine, gli domando come stesse. Lui mi risponde: “bene, mi sento bene. Ho ottantacinque anni, li ho compiuti il 6 marzo scorso. Tiriamo per quello che ancora possiamo fare”. Caspita! Aggiungo io. Se li porta davvero bene i suoi anni. Sorridendo mi dice: “ringrazio sempre il Signore per la salute, per il resto cerchiamo di andare avanti, nonostante qualche difficoltà che purtroppo non manca. Per me non è facile con le cose di tutti i giorni che devo comunque fare e la mia età ormai è quella che è”. Vista la sua disponibiltà, gli ho chiesto se poteva rilasciarmi un’intervista e lui ha accettato volentieri.
Signor Giuseppe vorrei che mi togliesse una curiosità. Sin da quando ho avuto la fortuna di conoscerla mi sono sempre chiesto una cosa: sulla parte inferiore della raffigurazione è presente in chiare lettere “G. Nicolardi” e allora per quale motivo non si sa nulla su di lei? Intendo dire perché fino a pochi anni fa non le hanno mai riconosciuto la realizzazione del mosaico?
All’epoca, parlo degli anni cinquanta, si doveva ancora risistemare qualcosa nella Piazza. Ancor prima ci furono i lavori di scavo dell’Anfiteatro romano e, per riportare alla luce parte di questo, si dovettero per forza abbattere alcuni edifici ad uso civile costruiti sopra. L’allora direttore del genio civile, l’ingegner Sarno, di cui però non riesco a ricordarmene il nome, pensò a conclusione della risistemazione di abbellire il nuovo assetto della Piazza con un mosaico che raffigurasse lo stemma della città. A quel tempo mio padre lavorava come cementista e insieme a lui e a mio fratello ci occupavamo di rivestimenti sia interni che esterni, utilizzando anche il marmo. Per dirti, la pavimentazione dell’atrio del teatro Politeama di Lecce o dell’Ariston (l’attuale Bingo) la facemmo noi. Eseguivamo anche mosaici, tant’è vero che nel ’52 eravamo gli unici in tutto il territorio a costruire queste opere. Ricordo che lo stesso ingegner Sarno ci incaricò di effettuare dei lavori a casa sua. Con lui ebbi un rapporto particolare sin dal primo momento. Credo che nutrisse simpatia nei miei confronti. Decise allora, insieme ad altri ingegneri e architetti, di commissionarci la realizzazione di un mosaico più grande. Quando lo terminammo dovetti andarmene fuori. In Francia mi fu offerta una possibilità di lavoro come piastrellista. Lì stetti dodici anni, poi qui nel frattempo le cose cambiarono, all’ingegnere Sarno ne subentrò un altro che non si interessò né del mosaico né di chi l’aveva fatto. Quando ritornai a Lecce, per mio carattere, non pensai di dire che l’opera l’avevo costruita io.
Ma è vera la storia di chi la riteneva addirittura morto?
Si, ci fu qualcuno che lo sostenne, non so chi sia stato. Di sicuro il mosaico non fu preso molto in considerazione e tutto venne un pò dimenticato.
Mi parli di come è stato realizzato, quali materiali furono usati e dove li prendevate?
Allora, partimmo con dei “traini” per raggiungere le zone costiere di Santa Cesarea e Leuca. Sulla scogliera cominciammo a battere la pietra viva ricavando dei piccoli blocchi di colore giallo, verde, bianco e nero. Questi li caricammo sul carro o sul sidecar per portarli in Piazza. Le strade di allora non erano come quelle di oggi. Scaricammo le pietruzze accanto e preparammo un fondo di malta fatta con calce, sabbia e acqua. Una volta asciutta stendemmo la carta sulla quale vi era il disegno dello stemma cittadino. Effettuammo dei buchi sul foglio lungo le linee della figura fino a quando non la copiammo sul fondo. Battendo le pietre con la martellina ricavammo dei dadini che furono disposti ad incastro l’uno con l’altro. Mancava solo una porzione di mosaico ancora da sistemare. Lì avremmo dovuto scrivere i nostri nomi ma mio padre insistette affinché fossi solo io a firmare l’opera. Dopodiché passammo la colata in cemento per coprire le piccole fessure che si formarono fra i dadini. Si dovette aspettare più o meno una settimana prima che il cemento indurisse per poi lavorare con la levigatrice. In questo modo il lavoro si spiana e si lucida. Lo preparammo per la festa del Santo Patrono, così come voleva l’ingegnere Sarno che addirittura assisteva spesso ai lavori. Era l’agosto del ’53.
Eravate proprio dei maestri nel costruire mosaici. Insomma, sono ormai cinquantotto anni che sta lì ed è rimasto intatto. Senta Giuseppe come ci si sente ad aver realizzato un qualcosa di così importante per noi leccesi?
Sono orgoglioso per questo. Ho ricevuto un riconoscimento dal Comune di Lecce in occasione del mio settantanovesimo compleanno. Ma, non si può comunque paragonare a quello che sento dentro.
Lo sa che in città c’è l’abitudine fra i passanti di non calpestare il mosaico perché, dicono, porti sfortuna? Lei cosa ne pensa?
È una cosa che non sapevo e che mi fa sorridere. Quando passo di là lo calpesto volentieri e me lo guardo.
Giuseppe, grazie e buona giornata
Sempre a disposizione. Ti ringrazio, è stato un piacere. Ciao.
A cura di Alessio Spagnolo