LECCE – Massimo Paolucci è un politico di lungo corso da sempre a sinistra, fin da quando, nel 1977, si iscrisse al PCI. Oggi corre per le elezioni europee nella lista PD-Siamo Europei-PSE nella convinzione che sia possibile cambiare l’Europa archiviando il liberismo, l’austerità e l’egoismo che l’hanno guidata fino ad oggi. In Italia, invece, l’obiettivo è riconquistare il popolo della sinistra perduto, dopo la catastrofe renziana. Noi lo abbiamo intervistato per capire quali sono i progetti di chi corre a sinistra nelle elezioni europee.
Massimo Paolucci, il suo slogan recita “con i socialisti europei per rifondare l’Europa”: in che modo si rifonda un’unione germanocentrica, in cui prevalgono principi liberisti e austerità?
“Anzitutto modificando i Trattati dell’Unione Europea che oggi non sono più adattati per affrontare le sfide di un mondo globalizzato come quello in cui viviamo, così come è stato evidente durante la grande crisi economica del 2008. In secondo luogo, l’Europa si rifonda costruendo un’Unione più democratica nella quale il Parlamento europeo sia il cuore pulsante della democrazia europea; serve perciò assicurare più forza all’europarlamento anche, e soprattutto rispetto ai veti degli Stati Nazionali. Infine, occorre mettere definitivamente in soffitta le fallimentari politiche di austerità e incrementare gli investimenti per far ripartire l’economia”.
Il renzismo decisionista e spavaldo è stato completamente rigettato dagli italiani. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono cresciuti sui fallimenti del Pd. Come farà la sinistra a riprendersi il suo popolo?
“Quando milioni di elettori ti voltano le spalle non si può far finta di nulla. Il divorzio tra la sinistra e il suo popolo è un problema serio e urgente. Noi dobbiamo recuperare la nostra identità e tornare ad occuparci della questione sociale. Una sinistra che non mette al centro il contrasto alle disuguaglianze e i diritti del mondo del lavoro oggi non ha ragione di esistere. La sinistra deve tornare ad essere presente nei luoghi del conflitto e della sofferenza sociale con proposte politiche che abbiano l’obiettivo di tutelare le fasce più deboli della società”.
Cosa ne pensa delle politiche di contenimento migratorio di Salvini?
“Le politiche del Ministro Salvini rispetto alla gestione dei fenomeni migratori, oltre ad essere disumane, sono del tutto inefficaci. Con una campagna elettorale aggressiva aveva promesso di rimpatriare oltre 500 mila migranti irregolari in due settimane. Non solo questo non è avvenuto, e lo stesso Ministro ha dovuto ammettere che per raggiungere un risultato del genere ci vorrebbero almeno 80 anni, ma con il Decreto Sicurezza aumenta il numero di irregolari nel nostro Paese. Nei prossimi due anni, in Italia avremo 140 mila immigrati irregolari in più, esattamente il doppio di quanti ne avremmo avuti senza questo decreto; a questi si aggiungeranno le decine di migliaia di persone che, con la chiusura degli Sprar, non avranno un posto in cui vivere”.
Come dovrebbe comportarsi l’Europa nel campo delle politiche migratorie?
“Oggi la priorità è modificare il Trattato di Dublino che assegna la responsabilità della gestione dei migranti esclusivamente al Paese di primo approdo. L’Unione europea su questa questione è ostaggio degli egoismi nazionali. La questione migratoria dimostra con chiarezza che oggi non c’è ‘troppa Europa’ bensì troppo poca: l’immigrazione, infatti, è una competenza del Consiglio europeo, ovvero dei singoli Stati membri, che decide all’unanimità. Il Parlamento europeo ha, da tempo, approvato una buona riforma, ma i continui veti dei Governi sovranisti amici di Salvini l’hanno bloccata rigettando ogni principio di solidarietà ed impendendoci di avere una difesa comune delle frontiere europee ed una redistribuzione equa ed equilibrata dei migranti tra i paesidell’Unione”.
I parametri europei devono essere ridiscussi?
“Gli attuali parametri sono stati concepiti in un periodo di forte espansione economica in cui la priorità era tenere sotto controllo l’inflazione ed assicurare il rigore nei bilanci pubblici. Da un punto di vista politico, questi parametri riflettono ancora l’era del trionfo del liberismo dopo la caduta del muro di Berlino. Oggi che il castello liberista, costruito sui principi ‘meno Stato, più mercato’ e ‘più rigore di bilancio, meno diritti dei lavoratori’, è clamorosamente fallito, è necessario ridiscutere questi parametri”.
Quali sono le ricette per creare lavoro e sviluppo per l’Italia dentro questa Europa piena di vincoli e che chiede solo tagli?
“È evidente che alcune imprescindibili battaglie di natura economica e sociale, di cui l’Italia beneficerebbe, vanno affrontate in termini europei. Affinché si crei lavoro e sviluppo è necessario anzitutto liberare le risorse e promuovere investimenti produttivi in capitale umano e infrastrutture. Bisogna superare il dumping sociale all’interno del mercato unico tramite un salario minimo europeo e attivare un’assicurazione contro la disoccupazione. C’è poi l’urgenza di avviare un percorso di sviluppo sostenibile per superare la scissione tra lo sviluppo e lo sfruttamento di risorse e la tutela ambientale che passa per la realizzazione dell’economia circolare che, se ben realizzata, può produrre centinaia di migliaia di posti di lavoro. All’Europa dobbiamo fare una proposta chiara e sostenibile dimostrando che l’Italia non intende aumentare il proprio debito pubblico, ma tagliare la spesa improduttiva ed investire nella parte più debole del Paese, ovvero il Mezzogiorno. Altro che federalismo differenziato, se non riparte il Sud si ferma l’Italia”.
Come si viene fuori dalla tragedia Xylella? Dobbiamo ripensare il paesaggio salentino e procedere al più presto ai reimpianti?
”Sin dal 2014 abbiamo sollecitato e ottenuto che i fondi di Horizon 2020 si rendessero utilizzabili per la ricerca sulla xylella. A breve saranno resi pubblici i risultati validati dalla comunità scientifica, questo determinerà una riconsiderazione, anche di EFSA, delle acquisizioni scientifiche ad oggi note. L’autorizzazione al reimpianto, di varietà resistenti ma non immuni, aiuta sicuramente una potenziale ripresa del comparto, tuttavia il paesaggio salentino di ulivi centenari avrà bisogno di una visione e di acquisizioni scientifiche più ampie per non consegnarsi alla desertificazione”.