Già chiamarla col suo nome aiuta a prendere le distanze dal concetto godereccio e festaiolo che, per fortuna, in qualche modo sta via via scomparendo: la giornata internazionale della donna, istituita in Italia l’8 marzo 1922, ricorda i diritti, le conquiste sociali, politiche ed economiche
da parte delle donne e altresì le discriminazioni e le violenze di cui sono state e tristemente sono tutt’ora oggetto.
Tra realtà e leggenda le storie di operaie morte in una fantomatica fabbrica Cotton o di violente repressioni durante uno sciopero. E’ dall’8 marzo del 1945 che, grazie all’Udi, Unione Donne Italiane, si celebra la giornata internazionale della donna, a cui si regala la Mimosa, il fiore che fiorisce ai primi di marzo, su un’idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei.
Vessillo delle manifestazioni politiche che hanno, negli anni Settanta, liberato la donna dal suo essere sottomessa all’uomo, l’8 marzo ha rappresentato ben presto un pretesto femminista fuori tempo e fuori luogo. Per finire nel trash di strip-tease e uscite tra sole donne, avide di ubriacature liberatorie, urletti giulivi e tacchi vertiginosi.
Oggi ancora sento parole che mi suonano antiche e fuori moda, discutiamo ancora delle quote rosa, con quell’aggettivo che mi fa solo sorridere e mi ricorda l’asilo, per non parlare delle pari opportunità. Ma pari a chi? Abbiamo dunque ammesso di avere una disparità da dover rivendicare sulle percentuali e non sul merito? Mi piacerebbe che si parlasse solo di meriti, nella nostra classe politica, negli alti posti delle dirigenze, di quel merito e di quel talento che fanno la professionalità, che non si piegano al genere biologico.
Le donne della mia generazione, che nate più o meno trent’anni fa’, sono cresciute col mito della bellezza o del suo stretto sinonimo superficialità, oppresse dall’idea dell’arrivismo e del bisturi, di conteggi di calorie, della perfezione ad ogni costo, che oggi parlano di sesso come un uomo, moraliste e politicanti, che vincono alla pari sul compagno, in una guerra intestina quotidiana, che si porta dietro immagini fioche di rivendicazioni e lotte.
Dove siamo finite, amiche mie, oggi che finalmente non accettiamo più gli auguri in questo giorno di solo ricordo, che rivendichiamo rispetto, ma che dimentichiamo altre donne come noi, che lottano per altre di noi.
Baluardi di difesa della violenza solo a parole, storie rinchiuse nelle silenziose e violente case di uomini, di botte e lividi, di persecutori insistenti, di pressioni psicologiche: la sopportazione non ci appartiene, è dote da dividere a metà con gli uomini, molti dei quali spaventati e incapaci, dinanzi alla forza segreta del ventre dell’umanità. Ci hanno definite il sesso debole, per quella caratteristica fisica che si ripiega dentro, che però, non sfugge, accoglie e coccola, protegge e crea, scrigno prezioso contenitore del più grande mistero del mondo.
Maria Bashir è una di noi, prima donna procuratore generale nella storia dell’Afghanistan, dal 2006 della provincia di Herat, tra le cento persone più influenti del mondo, secondo Time, si batte da sempre per i diritti delle donne troppo spesso vittime di ingiustizie e di violenze. A prezzo della sicurezza di se stessa e della sua famiglia da anni conduce una lotta ferrea contro le dure leggi del patriarcato, Hillary Clinton le ha assegnato il prestigioso premio per le International Women of Courage. Giovane di quarantuno anni Maria Bashir, cresciuta in una famiglia in cui secondo i principi dell’Islam uomo e donna camminano insieme sui sentieri della vita sostenendosi e completandosi l’un l’altra. Oggi gli uomini si sono induriti per via della guerra, i Talebani, saliti al potere nel 1996, hanno riportato il Paese indietro di secoli chiudendo le donne in casa; oggi Maria Bashir ha ottenuto la condanna di circa 2.500 persone, di cui 170 donne, per reati legati alla moralità e alla prostituzione, e la pena capitale per 15 uomini. I matrimoni organizzati dalle famiglie danno in spose le donne prima ancora della loro nascita, e spesso in età infantile, intorno ai nove anni, nonostante il matrimonio prima dei sedici anni sia illegale. Molte di loro sono costrette ad avere rapporti intimi con mariti di decenni più grandi. Chi scappa la paga cara, la fuga è un crimine che si sconta in prigione per due anni, le più deboli si danno fuoco. Secondo la Sharia, la legge di Dio, gli uomini possono avere più mogli e la punizione per un’adultera è la lapidazione, inoltre non è concesso divorzio se il marito non è d’accordo, mentre una donna non ha alcuna voce in capitolo se è l’uomo a voler divorziare. Maria Bashir combatte per i diritti delle donne afghane e questo le è costato numerosi attentati e minacce alla famiglia.
E’ solo una storia di una donna coraggiosa, come ve ne sono migliaia, come quella di Rossella Urru, o delle sconosciute donne che lottano per i diritti civili. Ma anche di quelle che ogni giorno provano a vivere, quelle che devono far quadrare i conti di casa, quelle che mercificano il proprio corpo, quelle che assistono i malati, quelle che badano agli anziani, quelle che lasciano migliaia di chilometri tra sé e il proprio paese per cercare un’alternativa, quelle delle bugie, quelle belle e stupide, quelle brutte e quelle belle e intelligenti, quelle che contano gli anni uno ad uno sulla schiena e si sorreggono ad un bastone, quelle che non cedono al fascino dell’ignoranza. Oggi è la giornata internazionale della donna, raccontiamoci storie di donne.