L’anno scolastico comincerà tra meno di un mese. La scelta della scuola superiore da frequentare è più importante di quanto si immagini, lo ribadisce la dirigente scolastica, Giuseppa Antonaci.
Si parla spesso di scuole povere, ma non è il caso dell’Istituto De Pace, che con un team di professori ed esperti, a lavoro anche ad agosto, ha usufruito di fondi europei che ne hanno fatto una scuola all’avanguardia del Salento.
Oggi, dunque, vi raccontiamo una bella storia attraverso l’intervista a una “dirigente-stacanovista”, che con il suo staff ha saputo migliorare, nel suo piccolo, la scuola pubblica.
«È fondamentale, nella scelta della scuola, seguire le inclinazioni dei nostri figli», ripete la professoressa Antonaci, che ci racconta la vicenda di un ragazzo che è riuscito a realizzare il suo sogno rifiutando le imposizioni dei genitori e seguendo la sua strada nel campo della moda.
La dirigente scolastica ci ospita nella sede centrale del De Pace alle 18: lei è a lavoro dalle 8 di mattina e siamo ancora in agosto. Stessi orari anche per alcuni professori: questo dimostra che non tutti gli statali sono uguali.
Dottoressa, siete molto bravi a reperire fondi in questa scuola, come fate?
«C’è un’insegnante che ha preso solo tre giorni di ferie in un anno, perché doveva preparare questi percorsi. Stiamo mandando 45 nostri studenti a fare un’esperienza all’estero di un mese, in college, ospitati in famiglia, per poter imparare meglio l’inglese: tutto questo grazie alla presentazione di progetti ben studiati e finanziati dalla Comunità Europea. Questo è un modo nuovo, più europeo, di fare la scuola: per un mese i ragazzi vivranno a contatto con famiglie e compagni che parlano solo l’inglese e studieranno con docenti madrelingua».
Insomma, la scuola non deve più puntare solo sulle nozioni, ma deve dare la possibilità pratica di entrare in contatto con il mondo del lavoro, vero?
«Durante il percorso di studi, gli studenti sono obbligati a fare, sia in quarto che in quinto anno, 150 ore di attività, di cui 80 di stage in azienda. Abbiamo i ragazzi dell’audiovisivo, ovvero i tecnici del suono, dell’audio, del montaggio, che l’anno scorso sono stati destinatari di un contratto di lavoro a Londra e in Francia, dove hanno fatto lo stage. Al Job di Verona(una delle più importanti Fiere di scuola e formazione) abbiamo presentato un video che raccontava l’esperienza lavorativa dei ragazzi. Bisogna insegnare ai ragazzi a saper stare nel mondo del lavoro, ad affrontare i problemi giornalieri: dobbiamo insegnare a comunicare, a muoversi su internet e a conoscere perfettamente l’inglese».
La scuola italiana è riuscita a recuperare il gap che la separa dal resto dell’Europa?
«La scuola italiana era ferma a Gentile, nel 2006 ci siamo classificati al di sotto della Corea del Sud, secondo le indagini Ocse-Pisa, perché eravamo fermi al ‘nozionismo’. Poi, nelle indagini del 2009, siamo riusciti a risalire la china: la scuola del sud si è messa al passo con la media nazionale, la Puglia è andata addirittura meglio di tutte le altre regioni. Accanto alle conoscenze bisogna insegnare il metodo, la capacità di risolvere i problemi e di analizzarli».
Nell’altra sede siete riusciti a ricreare un vero e proprio ambiente di lavoro: avete degli studi televisivi che vi invidiano perfino le televisioni vere. Insomma, la scuola non è poi così povera come i media ci fanno pensare, vero?
«Tutto questo lo abbiamo realizzato con i fondi europei e con il grande impegno dei docenti, perché noi abbiamo un’utenza difficile, deprivata, scalcagnata, a causa di un cattivo orientamento. Chi si orienta nell’audiovisivo, ad esempio, non è mai rimasto disoccupato, alcuni nostri alunni hanno trovato lavoro in Rai. Questo dovrebbe essere il modo di fare scuola».
È un retaggio antico? Ci sono ancora pregiudizi sulle scuole professionali?
«Noi colleghiamo i nostri studenti al mondo del lavoro e forniamo gli strumenti per potersi muovere in questa realtà. Insegnare solo a tradurre tremila versi di greco, come facevo io quando frequentavo il classico, può essere, a volte, infruttuoso: perché davanti a questo panorama di carattere economico-sociale si rischia di rimanere disoccupati».
Perché lei sostiene che la scelta della scuola superiore sia una scelta di vita fondamentale?
«Quella scelta peserà per tutta la vita. Bisogna stare attenti alle attitudini dei figli, all’orientamento del proprio io: la fase adolescenziale è una fase difficilissima, non sempre si sa quello che si vuole. Io ho avuto un alunno che era stato mandato in un liceo e che per due anni non era riuscito a fare nulla. La madre è venuta da me disperata: sosteneva che la richiesta di suo figlio fosse strana, perché diceva che si era fisato con la moda e che si voleva iscrivere al De Pace, in un settore che, secondo lei, era per donne. In realtà, si trattava di un pregiudizio bello e buono, perché i più grandi stilisti sono uomini. Quel ragazzo si è diplomato l’anno scorso da noi e, dopo aver fatto uno stage con Ennio Capasa, oggi lavora per Dolce e Gabbana. Ha trovato lavoro subito: con il diploma del liceo, probabilmente, sarebbe ancora disoccupato, perché non avrebbe seguito le sue inclinazioni. Lui è stato più forte dei genitori ed è riuscito a fare quello che desiderava veramente».
Come cambierà la scuola al tempo della crisi?
«Tutti dovranno imparare a usare bene le risorse. C’è una disposizione, all’interno del decreto sulla spending review, che impone l’uso dei registri elettronici, dall’anno scolastico 2012-2013, ma per avere un registro elettronico è necessario munire tutti i docenti di tablet e avere personale capace di lavorare così: ecco perché noi abbiamo presentato un progetto per formare tutti i nostri docenti sull’uso delle nuove tecnologie. È solo in questo modo che la scuola può crescere. Crescere da un punto di vista della formazione significa crescere dal punto di vista economico».
Gaetano GORGONI