Giosuè Carducci nasce nel 1835 a Valdicastello, in Versilia, da una famiglia dell’alta borghesia (sin da piccolo ha un precettore privato) e trascorre l’infanzia a Bolgheri, un paesino della Maremma Toscana dove il padre è medico condotto.
La figura del padre liberale e carbonaro, impegnato nel movimento risorgimentale e perseguitato per le sue idee politiche, influenzerà profondamente la sua formazione ed altrettanto accadrà con il paesaggio della Maremma, solitario e selvaggio, che resterà profondamente impresso nel suo animo costituendo un’ispirazione costante della sua poesia.
Nel 1849 segue la famiglia a Firenze, (una serie di lutti familiari, la morte della madre, il suicidio del fratello e la morte del figlio Dante, funestano la sua vita) dove frequenta il liceo classico dei Padri Scolopi, quindi si laurea all’età di 21 anni in Lettere alla Normale di Pisa, maturando così in questi anni il suo amore per i classici e l’avversione per il Romanticismo, a cui contrappone l’ideale di una poesia forte, animata dall’amore per la patria, la giustizia e la libertà.
Finalmente nel 1860 il Ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno d’Italia, Terenzio Mamiani, lo nomina Professore di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, città da lui subito amata, dove insegnerà per quarant’anni e risiederà fino alla morte, avvenuta nel 1907.
Senatore, fu il primo poeta italiano a essere insignito del prestigioso Premio Nobel, per la sua indiscussa autorità letteraria avvertita non solo in Italia, ma anche all’estero.
Pianto Antico
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de’ l’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
ne’ il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
(Da Rime Nuove 1887)
E’ questa una particolare poesia a cui sono molto legata, per averla studiata a memoria sin dalla scuola elementare e che anche oggi, ogni tanto, mi sorprendo piacevolmente a recitare ai miei amici più cari, per il suo profondo contenuto poetico.
Essa fu composta da Giosuè Carducci nel 1871 in memoria del figlioletto Dante. Egli rimase sconvolto dalla perdita del suo unico figlio maschio, in tenerissima età ( anche Dante, il fratello del poeta, morì giovane) e fra i versi di questa sublime poesia si può leggere tutta la sua profonda tristezza per la morte che colpisce gli innocenti.
Egli ricorda affettuosamente quando il bambino tendeva la mano verso i rami del melograno fiorito che vegetava rigoglioso, adorno di fiori rossi, mentre con i suoi giochi riempiva il giardino di gioia di vivere.
Confronta l’albero, che nonostante tutto continuerà a fiorire puntualmente a primavera e la sua vita priva del suo unico fiore, ( il bambino che rimane nella terra gelida, senza il sole ed il suo amore) , è ormai come una pianta arida.
Il tema della poesia è autobiografico, ma dopo una lettura accurata del testo si nota che il valore dello stesso non risiede solo nel suo inconsolabile dolore per la perdita del figlio, ma si eleva all’inevitabile divario tra la morte individuale per gli uomini ed il ciclico, rtimico, puntuale rifiorire della natura lì dove lui si accorge del rinverdire del melograno che non potrà più associare, se non nel ricordo, al figlioletto.
La morte è quindi del tutto desolazione per chi, proprio come lui, non crede alla sopravvivenza dell’anima, ma ad una concezione estremamente materialistica del mondo.
Mariagrazia Toscano
Alcune notizie sono state tratte dal sito www.skuola.net