Dopo i tre extraterrestri del XX secolo, non è che ci sia un vuoto fra loro e gli umani perché si sono inseriti alcuni personaggi che si sono molto avvicinati agli extraterrestri e meritano l’appellativo di fenomeni e mi riferisco a personaggi come Eusebio, Crujif, Ronaldo, Baggio.
I due fenomeni attuali, Messi e Cristiano Ronaldo stanno studiando da extraterrestri e si vedrà a fine carriera se hanno raggiunto quello status dato che ci sono molto vicini.
Ma ve ne è uno che è desiderarsi quasi un extraterrestre.
“E’ stato un giocatore speciale nella sua epoca. Non riesco a capire come l’Ungheria non abbia vinto la Coppa del Mondo del 1954” (Sir Alex Ferguson).
“Era il migliore tra tutti noi. Aveva un settimo senso quando giocava a calcio. Se c’erano solamente 1000 soluzioni per fare qualcosa, riusciva sempre a trovarne una in più (Hideguti, compagno di squadra).
“Ferenc riusciva a spaventare i portieri già dalla distanza di 35/40 metri. Non aveva solamente un tiro potente, ma anche preciso. Ho sempre pensato che fosse un genio” (Raymond Kopa, compagno al Real Madrid).
“Ferenc era un talento soprannaturale con incredibili qualità. E’ stato uno dei più grandi di tutti i tempi (Alfredo Di Stefano).
“E’ stato il più famoso ungherese del ventesimo secolo” (Ferenc Gyurcsany, ex primo ministro ungherese). Così era valutato Ferenc Puskas.
Nasce a Budapest il 2 aprile 1927 e cresce sulla strada come i ragazzi della via Pal. Aveva 17 anni i tempi della battaglia di Budapest quando i tedeschi si arroccarono sulla cittadella di Buda. Pochi mesi dopo la liberazione esordì in nazionale, contro l’Austria, vincendo 5 a 2 e realizzando una rete. Era piccolo di statura e piuttosto rotondetto, 1,72 per 72 kg. di peso, ma un virtuoso dell’area di rigore con un raffinato senso della rete ed il dono sublime della stoccata precisa e potente. Già a 16 anni diviene titolare nella Honved, la più famosa squadra ungherese. Nel 1947 per gli ungheresi iniziarono i tempi duri con lo stalinismo al potere. Però, facendo parte della squadra dell’Esercito, appunto la Honved, e giocando in nazionale, il giovane Puskas acquisiva gradi militari, arriverà ad essere colonnello, e girava il mondo. Nel 1947 gioca in Italia contro la nazionale formata dal grande Torino con solo il portiere Sentimenti IV della Juve. Segna una rete ma perde la partita per 3 a 2 con un gol di Loik all’ultimo minuto. Nel 1952 vince la medaglia olimpica ad Helsinki battendo in finale la Jugoslavia per 2 a 0; negli ottavi i magiari avevano liquidato l’Italia per 3 a 0 ed in semifinale avevano battuto la Svezia per 6 a 0 e Puskas era andato in gol dopo 20 secondi. Giocava con il numero 10 e l’Ungheria mostrava un “modulo tattico” nuovo giocando con il centravanti arretrato, prima Palotas (diventato grande arbitro) e poi Hideguti, e due interni micidiali per realizzazioni, Kocsis e Puskas, modulo che deliziò per anni le platee mondiali. Nel maggio 1953 fu inaugurato lo stadio olimpico di Roma giocando proprio con l’Ungheria. Perdemmo 3 a 0 e Puskas segnò una doppietta.
Nei mondiali svizzeri del 1954 l’Ungheria era la squadra da battere, sia pure con mezzi non troppo ortodossi. Nelle prime due partite l’Ungheria aveva segnato 17 reti: 9 alla Corea e 8 alla Germania, scesa in campo con le riserve, tranne lo stopper Liebrich, cui venne dato il compito di far fuori Puskas, cosa che fece in modo perfetto: lo azzoppò pregiudicandogli il prosieguo del torneo. Nonostante questo la squadra raggiunse la finale, ma Puskas pretese di giocare anche se claudicante. Dopo il 2 a 0 del primo tempo a vantaggio degli ungheresi e con un suo gol, nella ripresa avvenne qualcosa di strano con i tedeschi che correvano come indemoniati e che segnarono tre reti. All’86, a Puskas fu annullata una rete per un fuorigioco inesistente ed anni dopo si scoprì che la squadra tedesca aveva abusato i sostanze stimolanti. Ecco spiegato a sir Ferguson perché Puskas non vinse quel mondiale.
Nell’autunno 1966 scoppiò la rivoluzione ungherese e si sparse la voce che Puskas fosse morto nei moti di piazza. Si trovava invece a Vienna dove qualche giorno prima l’Ungheria aveva battuto l’Austria per 2 a 0 anche con un suo gol. Non rientrò a Budapest ed iniziò una nuova vita raminga lontano dalla madre patria. Stette per un anno e mezzo a Bordighera ingrassando di ben 15 kg. Lo avrebbero preso Milan ed Inter ma, a quel tempo, le frontiere erano chiuse. Ma Alfredo Di Stefano, che di calcio se ne intendeva, convinse il mitico presidente Santiago Bernabeu ad acquistarlo garantendo in prima persona sulla buona riuscita dell’acquisto. Si sottopose ad uno speciale programma dietetico e lentamente rientrò nei parametri di un calciatore. Non ebbe per niente problemi di inserimento perché Puskas era uno che Di Stefano, non uno qualunque, chiamava il Professore, uno anche furbo al punto da capire che sarebbe stato uno sgarbo a Don Alfredo rubargli il titolo di miglior goleador della Liga. All’ultima partita arrivarono con lo stesso numero di reti segnate. Puskas dribblò il portiere, mettendolo a sedere con una finta, ed a porta vuota toccò indietro per Di Stefano che sopraggiungeva. Di Stefano non respinse l’invito ma gradì al massimo il suo comportamento perché da quel momento formò con lui la più grande coppia di goleador che abbiano mai giocato nella stessa squadra; per capirci come mettere insieme Messi e Cristiano Ronaldo.
A tal proposito è opportuno ricordare come, nella finale di Coppa Campioni del 1960, giocata a Glasgow, contro l’Eintracht di Francoforte e vinta 7 a 3 dal Real, le reti furono 4 di Puskas e 3 di Di Stefano. Ebbe anche lui la delusione del 64 con l’Inter, ma, a fine partita, fu il primo a correre da Mazzola a regalargli la sua maglia, avendo giocato contro il padre nel 47. Sandro Mazzola la conserva come il più grande dei suoi cimeli. Chiuse la sua carriera a quarant’anni ed iniziò quella di allenatore girando fra Canada, Arabia, Paraguay, Australia e Grecia. Vinse in Australia ed in Grecia due volte con il Panathinaikos che portò anche alla finale di coppa.
Nel 1993 rientrò a Budapest ma non riuscì godersi la pensione perché affetto dall’alzahimer. Nel 2002 gli fu intitolato lo stadio di Budapest e morì in una casa di riposo il 17 novembre del 2006.
Questi i più significativi e straordinari numeri che lo riguardano: vinse 6 campionati ungheresi, 8 campionati spagnoli, 3 coppe dei campioni, 1 coppa di Spagna; in nazionale giocò 85 partite segnando 84 reti; con la Honved giocò 341 partite segnando 352 reti ( più gol che partite!); in 521 partite ufficiali ha uno score di 508 reti; fu 4 volte capocannoniere del campionato ungherese e 4 volte di quello spagnolo.
Che dire? C’è poco da aggiungere se non, in chiusura, a citarvi un episodio raccontato dal grande George Best: “Ero con Charlton, Law e Puskas e stavamo in Australia insegnando calcio ai ragazzi di una Accademia calcistica. I giovani che stavamo allenando non sapevamo chi fossimo e lo prendevano un po’ in giro per la sua altezza e la sua pinguedine. Ad un certo punto ho proposto che i ragazzi sfidassero uno degli allenatori a prendere la traversa per ben 10 volte, ed ovviamente scelsero il più piccolo e grassottello. Law chiese ai ragazzi quante volte, secondo loro, il grassottello avrebbe colpito la traversa. Quasi tutti dissero meno di 5 mentre io dissi, sicuro, 10. Il grassottello colpì la traversa per nove volte di fila. La decima volta alzò la palla, la fece rimbalzare su entrambe le spalle e poi in testa, poi la prese di tacco con entrambi i piedi ed infine al volo colpì la traversa per la decima volta. Tutti ammutolirono ma alla fine un giovane mi chiese chi fosse quel fenomeno. Gli risposi “Per te il suo nome è Mr. Puskas”.
Mario La Mazza
(Generale dei Carristi)