di Oronzo Perlangeli
Il peggiore nemico che abbiamo da combattere non è tanto la mafia in sé, quando la «mafiosità», ovvero un certo modo di pensare e di organizzare la società. Ciò richiede un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, nella consapevolezza delle proprie responsabilità, certi che un’Italia diversa è possibile.
La mafia si riproduce nel tempo e nello spazio grazie alla sua capacità di accumulare (e impiegare) capitale sociale ed economico. I mafiosi sono in grado di costruire e gestire reti di relazioni, che si muovono ed articolano in modo informale in ambiti e contesti istituzionali diversi, riuscendo a mobilitare risorse materiali e finanziarie che essi utilizzano per il conseguimento dei propri fini. La mafia siciliana non è una peculiarità del comportamento isolano ma è un’organizzazione, ha una sua struttura, un’ideologia, una continuità storica scritta da molti anni col sangue, ed in molte aree essa resta purtroppo l’unica forma di potere riconosciuto.
Uno dei caratteri più pericolosi e impressionanti del fenomeno mafioso è la sua capacità di radicarsi profondamente nel contesto sociale, creando aree di contiguità e di copertura che sono la condizione indispensabile del successo delle strategie criminali. Ma la mafia ha mostrato in questi ultimi anni una fortissima e crescente attitudine espansiva anche in contesti diversi da quelli tradizionali: anche in queste situazioni “nuove”, i mafiosi mostrano una straordinaria capacità di tessere relazioni, di costruire legami, di approfondire interscambi continui con un mondo vasto e diffuso, che coopera con loro, pur rimanendo rigorosamente fuori dall’ambito dei gruppi organizzati.
Anche lontano dai luoghi di origine, l’azione dei gruppi mafiosi si esercita attraverso meccanismi peculiari, che non possono essere ridotti a quelli di altre, “normali” organizzazioni criminali. Il tratto caratteristico della delinquenza mafiosa rimane, nelle aree vecchie come nelle nuove, la presa sulla società locale, ma la base del sistema di potere mafioso resta il controllo del territorio.
Il sistema di ruberie, d’inganni, d’illegalità e di soprusi non verrà forse mai del tutto debellato, ma ciò non significa che esso non potrà mai essere scalfito e indebolito, come in questi ultimi anni è stato fatto.
Bisogna, però, fare attenzione a non sottovalutare la mafia. Pur avendo subito durissimi colpi, la mafia esiste e persiste, non è stata ancora sbaragliata e non si trova a vivere allo sbando. La sua fine non sta proprio al primo angolo della strada. La mafia ancora esiste, è ancora forte, è ancora capace di colpire, capace di sorprendere, capace di riprendersi dai colpi ricevuti, e la società, la politica, le istituzioni nel fronteggiare la mafia a difesa degli interessi generali non sempre mostrano di avere la stessa tenacia e la stessa perseveranza della mafia.
La mafia ha massacrato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e come loro tante altre persone. Ma Falcone e Borsellino, da vivi, hanno inflitto alla mafia colpi ben più risolutivi, capaci di dare alla lotta antimafia sviluppi che in precedenza non era neanche possibile ipotizzare; e da morti hanno animato un movimento antimafia di massa che ha cambiato la realtà del Paese.
Per quanto costoso, e a prima vista lacerante e doloroso, il progresso della lotta alla mafia risulta quanto mai evidente. Nondimeno, per conseguire un giudizio equilibrato, occorrerebbe disaggregare i molteplici fattori che hanno concorso alla formazione di un processo storico tanto aggrovigliato e complesso, considerando partitamene la magistratura e i vari corpi dello Stato; le forze politiche; i governi nazionali e il parlamento; la società siciliana e la società italiana; le amministrazioni locali e la regione siciliana; la Chiesa cattolica; la cultura; i mass media, etc. Ognuno di questi soggetti nel corso del ventennio ha tenuto comportamenti particolari e non sempre esemplari.
Per effetto dell’azione antimafia è cambiato il modo di considerare la mafia e il modo di comportarsi verso la mafia. Il fenomeno non è più così macroscopico come in passato. Ma poiché la mafia non è scomparsa, e in regime di democrazia il voto, come il denaro, non ha sapore né odore, il pericolo di collusione tra mafia e politica e tra mafia e istituzioni non è da ritenersi scomparso del tutto.
Solo mobilitando tutte le forze sociali sane esistenti in campo, è possibile sconfiggere la mafia. La sola azione di polizia e giudiziaria non basta a vincere la mafia. Occorre la mobilitazione di tutte le forze valide e disponibili in campo, ci vuole anche la prevenzione e più ancora è indispensabile la promozione dello sviluppo economico-sociale, come anche il rinnovamento politico, ossia la formazione di anticorpi che aiutino la società a reagire ed a vincere il male.
Va da sé, nella lotta alla mafia intesa in modo così ampio, ci sono doveri pubblici e doveri privati, doveri individuali e doveri collettivi, doveri sociali e doveri istituzionali. Ma non è da dimenticare che la mafia, oltre che organizzazione criminale, è anche un modo d’essere e di pensare; è una organizzazione dotata di un codice di regole che ogni mafioso è tenuto a rispettare come condizione indispensabile del suo essere mafioso. Una mafia così fatta, perseguita con la sola repressione di polizia e giudiziaria, sarà solo chiamata a popolare le patrie galere, ma non sarà mai messa fuori combattimento perché avrà modo di supplire alle perdite anche più gravi reclutando nuovi adepti e nuovi capi.
Per vincere definitivamente la mafia, oltre alla punizione dei colpevoli, occorre anche e soprattutto dimostrare che essere cittadini rispettosi delle leggi è più vantaggioso e più gratificante dell’essere mafioso.
La gente, non solo in Sicilia, ma nel resto del Paese e anche fuori d’Italia, ha dell’organizzazione mafiosa una percezione nella sostanza diversa da quella che aveva prima.
“La mafia è un fatto umano; come ha avuto un inizio, avrà anche una fine” [Giovanni Falcone]. La lotta alla mafia ha percorso e ha da percorrere un lungo cammino, la strada è stata e continua ad essere sempre in salita, sempre impervia, sempre insidiosa.
L’uomo che non riflette in tempo sui mali che la mafia procura nella società, prima o poi sarà vittima di qualche misfatto. Chi si tappa occhi e orecchie davanti ai crimini non ha alcun diritto di urlare.
Nella tragica storia della lotta alla mafia c’è tanta parte dei problemi di una lotta spesso enunciata solo retoricamente dallo Stato e praticata soltanto da alcuni suoi funzionari, ma anche da tanta gente comune che ha donato la sua vita.
Il tempo degli eroi non si può perpetuare all’infinito e tuttavia quel tempo non si può dire cessato.
Basti pensare al procuratore Di Matteo
Dobbiamo ringraziare questi uomini, queste donne e tutti coloro che lottano, hanno lottato, o lotteranno per smantellare le relazioni, i legami e le reti che uniscono i vari gruppi mafiosi tra loro, con il mondo degli affari e con il sottobosco della politica.
il peggiore nemico che abbiamo da combattere non è tanto la mafia in sé, quando la «mafiosità», ovvero, il modo in cui si pensa e si organizza la società.
Questo cammino richiede un patto tra cittadini e istituzioni perché il nostro paese cresca nella consapevolezza delle proprie responsabilità e nella forza dei suoi eroi che hanno dato la vita per dimostrare che un’Italia diversa è possibile.