di Francesco Oliva
SALENTO – Un’indagine condizionata. Fortemente inficiata da reticenze, omertà e falsità anche documentali riscontrate nel corso dell’attività investigativa in cui gli interessi economici avrebbero prevalso sulla salvaguardia e la cura dell’albero d’olivo. L’inchiesta sulla Xylella approdata in un’ordinanza di archiviazione a firma del gip Alcide Maritati a carico dei dieci indagati svela un sottobosco di trame oscure e di interessi opachi che si sarebbero alimentati all’ombra degli alberi d’ulivo. E che hanno condizionato gli esiti investigativi. Nella richiesta di archiviazione, a firma del procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e del sostituto procuratore Roberta Licci, vengono messi nero su bianco gli intrecci che hanno scandito l’intera attività investigativa fortemente condizionata da un clima di omertà. Nonostante gli accertamenti abbiano confermato in modo sostanzialmente integrale i capisaldi su cui si fondava il decreto di sequestro preventivo del 18 dicembre del 2015 poi convalidato dal gip alcuni giorni dopo.
RITARDO NELLA GESTIONE DEL CODIRO
L’indagine ha consentito di accertare l’incredibile ritardo nella gestione del fenomeno del Codiro (il Complesso del disseccamento rapido dell’olivo) da parte degli organi preposti che, secondo quanto scrivono gli inquirenti, disponevano da tempo degli elementi sufficienti per individuare la patologia, la sua rapida diffusione, l’opportunità e i tempi per confrontarsi con un approccio il più possibile condiviso sul suo contenimento. Nonostante il tempo trascorso dall’insorgenza della manifestazione del Codiro, ancora oggi, non sarebbe possibili fornire risposte certe sul piano scientifico sulle ragioni della virulenza del fenomeno, su modalità e tempi di diffusione e soprattutto sui rimedi idonei ad eradicare il batterio Xylella ed a contenere il fenomeno del Codiro.
ALBERI AMMALATI GIA’ DA TEMPO
Eppure che gli alberi di olivo si stessero ammalando lo si sapeva da tempo. Dall’attività svolta è emerso in maniera inconfutabile che la prima datazione degli essiccamenti degli alberi d’olivo nel Salento, con informazione agli organi preposti, risale agli anni 2004/2006. È evidente come sei anni dopo – nel 2010 – il fenomeno del disseccamento avesse già raggiunto proporzioni allarmanti e fosse percepito come anomalo rispetto a qualunque altro fenomeno precedente. Un passo indietro. Nel 2009 i fenomeni di essiccamento erano stati notati sugli oliveti dei comuni di Gallipoli, Racale, Taviano e Parabita. Ed è certo, mettono nero su bianco i magistrati salentini, che le segnalazioni da parte dei coltivatori arrivarono ai responsabili dei Consorzi Agrari ed ai professionisti agronomi in genere.
A sostegno di questa tesi gli inquirenti riportano le dichiarazioni dei tanti testimoni sentiti a sommarie informazioni nel corso della lunga e travagliata indagine. Un noto docente di zoologia ed entomologia agraria presso l’Università di Bari, ritenuto uno dei primi studiosi ad aver osservato l’anomalo disseccamento degli alberi d’ulivo nel Salento, dichiarò di aver avuto contezza dell’essiccamento verso la fine del 2010 inizi 2011 osservando i propri ulivi in località “La Castellana” di Gallipoli, località poi – con grande ritardo – individuata come zona infetta da Xylella.
Già in quel periodo il Fitosanitario che il Cnr come anche l’Università di Bari avevano contezza della singolarità di un fenomeno di grave essiccamento in un momento in cui si era diffuso l’allarme Xylella attraverso i vari convegni ed il workshop tenutosi presso lo Iam di Valenzano. Non a caso i protagonisti (coinvolti a vario titolo nell’inchiesta) hanno reso dichiarazioni per cercare di prendere le distanze non solo dall’organizzazione ma anche dalla mera partecipazione al workshop del 2010. Dichiarazioni, a detta degli inquirenti, che non corrisponderebbero al vero e che non servirebbero in ogni caso a cancellare profili di colpevolezza a carico dei soggetti che hanno il ruolo istituzionale di vigilanza e di ricerca.
LE CONFERME SUL DISSECCAMENTO IN ATTO DA ANNI DA PERSONE INFORMATE DEI FATTI
Perché l’inizio del fenomeno risulta piuttosto datato. Così come l’individuazione del batterio della Xylella, come possibile causa del disseccamento. La conferma, gli inquirenti, l’hanno acquisita nel corso delle indagini. Grazie anche alle dichiarazioni rilasciate il 25 febbraio del 2016 da un Ispettore Fitosanitario per la provincia di Brindisi sentito a sommarie informazioni: “…In ogni caso ribadisco che almeno a partire dal 2005 la questione della Xylella nel Salento era oggetto di discussione e che dal 2005/2006 al 2013 non si è fatto nulla ameno noi ispettori fitosanitari non abbiamo avuto alcuna indicazione su eventuali azioni da porre in essere…Certamente abbiamo avuto modo di parlare tra di noi colleghi circa il fatto che per anni non si è fatto nulla per fronteggiare la situazione e che quando finalmente ci diedero indicazioni operative ormai la situazione era fuori controllo”.
SPERIMENTAZIONI IN CAMPO
Analoghe omertà insuperabili e insuperate hanno caratterizzato i tentativi di approfondire la questione relativa alle sperimentazioni in campo certamente effettuate nel Salento. La presenza di Campi Sperimentali era stata accertata già negli anni 2009/2010. Tuttavia i preposti uffici Asl e la Regione Puglia, pur sollecitati dagli inquirenti, non hanno fornito informazioni sufficienti a comprenderne sia gli enti di ricerca o le ditte produttrici di fitofarmaci che i motivi della sperimentazione e la localizzazione dei campi stessi. Notizie che, invece, sarebbe stato indispensabile rendere pubbliche e conoscibili dal momento che, scrivono gli inquirenti, le sperimentazioni condotte con l’utilizzo di prodotti classificati come nocivi oltre che pericolosi per l’ambiente – utilizzati effettivamente nelle sperimentazioni – in assenza di una adeguata analisi del rischio abbiano potuto causare insieme alla mancanza delle “buone pratiche agricole” e fattori climatici un drastico abbassamento delle difese immunitarie degli alberi d’olivo favorendo la virulenza dell’azione di funghi e batteri fra cui la Xylella fastidiosa. Tanto che i tagli eseguiti non hanno costituito una misura adeguata a contenere l’avanzamento del batterio.
INTERESSE ECONOMICO PREVALENTE SULLA RICERCA SCIENTIFICA
Nella parte conclusiva della richiesta di archiviazione c’è poi un passaggio che ha il sapore del memento sul piano etico. Da quel che emerge dalla lettura delle email sequestrate risulta evidente agli inquirenti la preponderanza dell’aspetto economico – ovvero la prospettiva di ottenere finanziamenti a beneficio esclusivo dell’Università di Bari – rispetto alle finalità delle ricerche scientifiche. Basti sul punto leggere quanta parte delle comunicazioni sia dedicata alle questioni dei finanziamenti e quanta allo scambio di informazioni relative a campionamenti e test, che anzi, laddove presenti, documentano l’assoluta superficialità dell’azione. Questo “secondo fine”, per gli inquirenti, ha chiaramente condizionato l’approccio degli indagati alla questione sin dalle primissime battute e ciò anche a discapito della trasparenza della ricerca scientifica, che avrebbe semmai richiesto una condivisione dei risultati a fronte di una questione prospettata come nuova e dirompente anche sul piano dell’impatto sul territorio. Con buona pace, considerazione scontata da parte nostra, per agricoltori e imprenditori che per anni hanno vissuto e lavorato grazie all’oro giallo prima di assistere ad un lento e inesorabile declino di un indotto penalizzato oltremodo dall’opera scriteriata dell’uomo.