Di Francesco Oliva
MAGLIE (Lecce) – Voleva vendicarsi contro chi aveva fatto il suo nome ai carabinieri. Perché Andrea Marsella si trovava nei pressi del fast food dove, poco prima, Simone Paiano aveva ucciso Mattia Capocelli con un colpo di pistola nella notte tra il 24 e il 25 aprile nell’ambito di un regolamento di conti per il controllo del droga business sulla piazza di Maglie. La sua fame di vendetta l’aveva messa anche per iscritto l’omicida reo confesso dopo una breve fuga. Lo aveva fatto in una missiva sequestrata dagli agenti della polizia penitenziaria di Lecce nonostante l’assassino fosse stato trasferito nel penitenziario di Foggia per ovvi motivi di sicurezza.
Un timore fondato. Una voglia di vendetta repressa ma sfogata in una missiva in cui il bersaglio di Paiano non era solo il suo delatore. Le minacce di Paiano erano estese anche a Marco Cananiello (con Marsella arrestato dai carabinieri di Maglie nell’operazione “Tornado” perché ritenuti affiliati al clan capeggiato da Giuseppe Amato). La missiva, bloccata dagli agenti della polizia penitenziaria il 20 luglio, era indirizzata a M.S.. È confluita nel carteggio allegato alle indagini che hanno fatto luce sull’omicidio del giovane di Maglie e su una presunta associazione che avrebbe gestito lo spaccio all’ombra di piazza Aldo Moro.
All’interno della lettera i berretti azzurri hanno rilevato tre fogli piegati su se stessi e scritti a mano con penna blu indirizzati rispettivamente a tre detenuti il cui contenuto è un crescente delirio di onnipotenza criminale. Del quale Paiano aveva già dato ampia dimostrazione nel corso della sua detenzione nel carcere di Lecce con pesanti minacce indirizzate ad alcuni agenti di polizia penitenziaria. In una circostanza l’assassino di Capocelli avrebbe schernito il personale di polizia in servizio di vigilanza e di osservazione dei detenuti. In un’altra occasione avrebbe rivolto più minacce ad agenti di polizia di penitenziaria: “Se non mi taglio i capelli, vi taglio la testa, ringraziate che sono qui altrimenti vi sparavo in testa”
Ma torniamo alla lettera, ai tre fogli, uno dei quali indirizzato a M.S. Scrive Paiano: “Amore mio bellissimo, comunque per quanto è successo ora non mi è arrivato nulla. Però sto come le bestie. Spero che quello che se l’è cantata lo hanno mandato ai precauzionali” (il riferimento, secondo gli investigatori, è riconducibile alle dichiarazioni rese da un detenuto che aveva denunciato al personale di polizia penitenziaria minacce e violenza rivoltegli proprio da Paiano per impedirgli di pulire come era in suo dovere di fare). Si legge nel foglio: “Con i lurdi come a lui, hai incontrato qualcuno del blitz che hanno fatto? Dimmi che cosa dicono, faccio vedere io a questi bastardi. La bomba a casa mi volevano mettere sti pisciatuti alla mia famiglia…immagina come sto la mia famiglia è sacra e non c’entra nulla tutti me mangero questi bastardi. avevano le cimici nella macchina e dicevano che ce l’avevano con me. Sta cosa va tutto a mio favore…”
Nel foglio indirizzato a S.M. (detenuto per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti aggravata dalle modalità mafiose ristretto nella medesima sezione detentiva di Andrea Marsella, testimone dell’omicidio) Paiano scrive: “Ho scritto al nostro amico, tramite un caro amico, che ho trovato qui. Sto come le bestie. Ci sono tre o quattro persone come penso hai appreso dai giornali che la devono pagare soprattutto Andrea Marsella che è il ragazzo che se l’è cantata su di me. Dovete mandarlo ai precauzionali con i lurdi come a lui. Fammi sapere presto amico mio perché sto come le bestie. C’è anche Marco Cananiello che è il bastardo che ha preso mio fratello”. E la chiosa finale in pieno clima criminale: “Io sono stato omertoso nei loro confronti dichiarando di non conoscerli . Ad uno ad uno mi capiteranno fuori”.
Infine nel foglio indirizzato a L.D.R. Paiano scriveva: “Mio carissimo amico, come avrai appreso dai giornali come vedi sono la conferma di ciò che ti dissi. Con il tempo me la pagheranno pure loro. Mi volevano fare fuori ma sono più vivo e forte che mai”. Secondo quanto scrivono gli investigatori il foglio inviato ad A.M. detenuto nella stessa sezione di Andrea Marsella doveva arrivare tramite il passamno dei lavoranti evitando i controlli sulla corrispondenza molto più probabile quando detenuti come A.M. sono inseriti nel circuito alta sicurezza. Pertanto il sospetto era rappresentato dal rischio di intimidazioni e rappresaglie all’interno del carcere di Lecce nei confronti di chi aveva parlato, di chi, per dirla con le stesse parole dell’assassino, “se l’è cantata su di me”.