LECCE – Non lo dice esplicitamente Marco Baroni, ma tra le righe dei suoi discorsi durante la conferenza stampa pre Lecce-Bologna, il saluto si percepisce. Ci sono umiltà, rispetto, benevolenza, consapevolezza e onestà; gli ingredienti di un composto e rispettoso saluto.
Mister Baroni parla dei numeri del suo Lecce: della tenuta della difesa in una serie A in cui la squadra è sempre stata fuori dalla zona retrocessione; e poi dei limiti che si possono incontrare nel disputare una serie A in cui ci sono, per usare le parole del mister “Solchi enormi da tutti i punti di vista, tecnici ma anche economici”; e in questo preambolo della conferenza stampa l’allenatore vuole come tirare una linea; come fosse un modo per segnare i passi che ha fatto. Come volesse dire: “Ho fatto questo, sono arrivato fin qui”.
Non ama, il mister, parlare di sé ma preferisce parlare del gruppo, come ha sempre fatto in questi due anni. Sostenendo, difendendo e proteggendo i suoi ragazzi: i giallorossi della Banda Baroni, il gruppo più giovane del campionato della squadra con il monte ingaggi più basso.
“In questi giorni c’è stato tempo per gioire e per riflettere – dice il mister – Prima di Monza avevo parlato dei meriti di questa squadra, ma oggi è giusto parlare anche delle difficoltà, ritengo debba farlo. Nelle ultime 7 stagioni di A il 50% delle matricole neo promosse è retrocesso. Nelle ultime tre stagioni di A alcune neopromosse sono andate in C (Crotone, Benevento e Brescia). E’ una cosa che dobbiamo considerare per capire le difficoltà di questo campionato. Siamo giovani e abbiamo molti esordienti e per 38 partite non siamo mai stati negli ultimi tre posti”.
Il Lecce, come detto, è stato nella zona rossa solo nella seconda giornata di campionato. Poi nella terza, il 28 agosto 2022, con il pareggio in casa con l’Empoli (1-1, primo gol giallorosso in seria A di Strefezza), si è smarcato dal gruppo delle ultime tre per non tornarci più fino alla fine. Fino a quando, sul campo del Monza, Colombo dagli undici metri non ha gonfiato la rete di Di Gregorio, decretando la fine di una lunga sofferenza, fatta di un lavoro che partiva dalle fondamenta, in cui Baroni ha messo tutto sé stesso e per il quale i suoi ragazzi non si sono risparmiati mai.
Ed è questo che, fino alla fine, l’allenatore toscano sottolinea, come fosse qualcosa che nessuno deve dimenticare. Ci tiene Baroni a ribadire che i meriti non sono solo suoi.
“Abbiamo mantenuto un dato importante che è quello difensivo (il Lecce non ha mai preso più di due gol a partita in tutto il campionato ndr). E nonostante l’inesperienza di alcuni giocatori, c’è stata la capacità di andare oltre – dice il tecnico – anche con quelle difficoltà offensive che ci sono state. Il calcio è fatto anche di opinioni, ma i numeri non sono opinabili”.
Mettersi in ginocchio dopo il gol di Colombo allo scadere del recupero a Monza, abbassare la testa poggiando i polpastrelli delle dita sul manto erboso a bordo campo, non era probabilmente per Marco Baroni solo un gesto di ringraziamento e neanche solo una dedica (quella al papà scomparso a novembre scorso) aveva anche il sapore di un gesto liberatorio. Era finita. Si era giunti alla fine di un percorso tortuoso, su un cammino impervio. La salvezza non solo fino a quel momento non era affatto scontata, ma era evidentemente compromessa da una situazione complicata che riguardava la difficoltà dell’intero campionato, i valori delle squadre, gli episodi che spesso non erano stati a favore del Lecce e una obiettiva difficoltà che riguardava anche il reparto offensivo che difficilmente riusciva a pungere davvero. Salvarsi per il Lecce non rappresentava solo un sogno, ma anche specie di miracolo.
Un’intera stagione di lavoro, per dare fiducia e forza ai giovani: incoraggiare Colombo dopo le giornate no, spronare Ceesay quando, nonostante il grande impegno, non riusciva a trovare lo specchio o a danzare sul filo del fuorigioco; infondere fiducia a Persson – e contemporaneamente tutelarlo all’esterno – quando doveva essere lui la punta del 4-3-3-. “Sentirete parlare di lui” diceva il mister riferendosi al giovane attaccante proveniente dalla Roma, sempre con la stessa serenità e fiducia con le quali parlava degli altri.
Fatto sta che la carretta, alla fine, l’ha portata Marco Baroni riuscendo a fare squadra fuori dal campo e a farsi aiutare nella missione da a un gruppo di persone volitive; di ragazzi che, intanto, in questi mesi sono diventati uomini; e anche di uomini che in questi mesi sono diventati più adulti.
Il campionato di serie A è un’occasione per tutti, ma può rivelarsi un girone infernale. E nel finale per il Lecce lo era diventato.
Nervi saldi, lavoro, lucidità ed equilibrio. Così Baroni ha vinto di nuovo.
Avere a che fare con un gruppo di giovani ha significato per l’allenatore dover lavorare duro per strutturarne la personalità. Tuttavia anche avere a che fare con campioni non è stato facile, perché il percorso è uguale e contrario, forse anche più difficile, così come è stato inizialmente con Umtiti:
“Samu è una persona talmente semplice, bella e pura… ci ha dato tanto, ma anche lui ha avuto tanto da noi. E’ stato bravissimo perché da Campione del Mondo ha dovuto resettare, al contrario dei ragazzi che dovevano costruire. All’inizio abbiamo avuto degli scontri, lui ha dovuto resettare abitudini, modalità di lavoro e io cercando di tutelarlo, perché lui voleva allenarsi subito con la squadra. Poi però ha capito. Samuel aveva perso tutto, perché quando perdi il campo perdi tutto… è stato molto bravo a riprenderselo”.
C’è anche un pensiero per il giovane Colombo, autore della pesantissima rete su rigore che vale un’intera stagione
“Lorenzo è un ragazzo che deve lavorare e deve sbagliare. Perché nei giovani il vissuto non c’è e quindi questo vissuto te lo devi costruire con le presenze, le prestazioni e gli errori e senza abbassare la testa come hanno saputo fare tutti in questo campionato”.
Ha inventato un nuovo Strefezza; ha riposizionato Baschirotto al centro della difesa – per necessità – sin dalla prima giornata contro l’Inter, per poi non poterne fare più a meno – . Per fare in modo che il Lecce spingesse di più, ha trovato un nuovo ruolo per Oudin (mezz’ala) “All’inizio non ero convinto – ha dichiarato tempo fa il giocatore – poi il mister mi ha spiegato, io l’ho seguito e ora sono contento”.
Ha trovato la trazione anteriore dove mancava (con ciò che aveva a disposizione) con quella soluzione di cui il Lecce aveva bisogno dopo quel periodo, il più buio del campionato, in cui per cinque giornate non solo ha perso, ma non ha nemmeno segnato (Lecce-Sassuolo 0-1; Inter-Lecce 2-0; Lecce-Torino 0-2; Fiorentina-Lecce 1-0; Empoli-Lecce 1-0) per poi rinascere piano piano, attraverso il lavoro e anche alle invenzioni di Baroni (già dalla partita successiva con il Napoli).
Il mercato di riparazione ha portato 4 pedine (Cassandro, dal Cittadella a titolo definitivo, serie B, per far rifiatare Gendrey; Ceccaroni centrale difensivo dal Venezia – in prestito -, Romagnoli centrale del Parma a titolo definitivo; e Maleh, dalla Fiorentina – circa 5 milioni con obbligo di riscatto). Tra questi il giocatore che ha avuto qualche minuto in più a disposizione in campo è stato Maleh.
Il lavoro da fare per mettere insieme giocatori giovani provenienti da diversi campionati – e che parlavano lingue diverse – era lungo e dispendioso. Baroni anche durante il mercato di riparazione ricordava che chi arrivava non rappresentava mai un’imminente soluzione: “Sono abituato a contare su ciò che ho – sottolineava – chi arriva dovrà cominciare a lavorare per raggiungere la forma fisica degli altri”.
Sulla sua permanenza nel Lecce nessuna conferma. Il rapporto con Corvino a volte è stato sereno, altre volte meno, ma sempre nel rispetto dei ruoli e delle persone
“Siamo gente leale, con il direttore abbiamo un rapporto di lavoro in cui ci confrontiamo dalla mattina alla sera. Ci siamo anche presi qualche volta, perché siamo così. E io preferisco che non mi diano sempre ragione, quando è così mi preoccupo. Invece mi piace ascoltare altre opinioni”.
“Sacrum facere”, significa dare valore a un sacrificio, distinguere ciò che è qualcosa di ordinario, da ciò che è stato qualcosa di straordinario; ed elevare al riconoscimento che merita, appunto, un sacrificio.
“Sacrum facere – ribadisce Baroni… e “vorrei che il sacrifico dei ragazzi sia più vicino possibile a questo concetto”. Poi spiega: “Mi piace dare un significato alla parola sacrificio e questa squadra fino dal primo giorno di lavoro non si è risparmiata. Sacrificio vuol dire compiere uno sforzo che va anche al di là dei fini personali. Ma chi si dona ha un fine anche più grande. Ed è ciò che questa squadra ha fatto molto bene, donarsi per il compagno, per il grande obiettivo, per il territorio, per la città, per i tifosi. Il sacrificio è sacro. Io non sono un celebratore di me stesso, rispondo coi fatti, non con le parole. E quando faccio qualcosa non penso mai a ciò che ricevo, ma a ciò che do”.
Domani il Lecce affronta il Bologna, bisogna onorare il campionato fino all’ultima partita e all’ultimo minuto “E’ una gara di serie A – sottolinea il mister – è la 38esima. Noi faremo quello che abbiamo sempre fatto: giocare a testa alta”.