CAMPI SALENTINA (Lecce) – Si narra che ai tempi in cui la Sacra Corona Unita dettava regole e ordini sul territorio in alcuni paesi i vecchi boss imponessero il coprifuoco. Luci basse, scarsa illuminazione per consentire agli uomini dei clan di muoversi nel buio con maggior facilità e gestire gli affari illeciti nell’ombra. E, a cavallo tra gli anni 80 fino gli inizi del nuovo millennio, nel Salento si sparava. Con pistole, fucili e kalashnikov. Per dettare la supremazia, eliminare i rivali e compiere epurazioni interne dopo tradimenti e rapidi cambiamenti di casacca. Una Scu violenta, efferata, brutale. Quasi primitiva. In questi ambienti sempre fluidi si muoveva Dario Toma, considerato il braccio destro di Giovanni De Tommasi. Dopo l’arresto del capobastone Toma prese le redini del clan. E per dirigere un sodalizio che sapeva tradurre con velocità il peso della droga con i soldi bisognava saper parlare, mediare, ma anche sparare.
La vita criminale del 51enne Campi Salentina ha contemplato tutto questo. Fino all’estate del 2001 quando Toma decise di transitare nella folta pattuglia dei collaboratori di giustizia della Scu salentina fornendo dettagli, tanti dettagli, su omicidi, lupare bianche e nomi di chi avrebbe fatto parte del clan De Tommasi con roccaforte nel comune di Campi Salentina. Una narrazione, come tante, confluite nella maxi inchiesta antimafia “Maciste 2” che ha fatto piazza pulita su tanti delitti che hanno insanguinato il Salento.
Nonostante lo status di pentito (Toma attualmente beneficia di un sistema di protezione in una località segreta), l’imputato oggi ha incassato una pena a 20 anni di reclusione per sei vecchi omicidi beneficiando di un’assoluzione nel merito da un tentato omicidio e un doversi procedere per intervenuta prescrizione per un secondo agguato sfumato. Un verdetto, quello emesso dal gup Michele Toriello a conclusione del processo in abbreviato, di cinque anni più alto della richiesta invocata dal pubblico ministero della Dda Giovanna Cannarile e che restituisce un pizzico di giustizia anche ai familiari di uno dei target di Toma: Ornella Greco, una ragazza di 24 anni ammazzata dal clan. Per i suoi familiari il giudice ha disposto una provvisionale di 25mila euro.
Sei omicidi, dunque. E dopo le condanne e le assoluzioni dei maxi processi e dell’operazione “Maciste 2” Toma era rimasto l’unico imputato. Ripercorriamoli: l’omicidio di Luigi Scalinci ammazzato il 19 gennaio del 1989 a Campi perché, appartenente alla vecchia guardia, avrebbe rappresentato un ostacolo alle mire espansionistiche di Gianni De Tommasi; l’omicidio di Valerio Colazzo ed il tentato omicidio della fidanzata Cristina Fema del 3 settembre del 1989. Colazzo fu vittima di un agguato a colpi di fucile a pallettoni e di pistola calibro 7.65 che non gli lasciò scampo. Era a bordo di una Fiat 127 con accanto la fidanzata che restò ferita. L’inchiesta venne archiviata due anni dopo anche perché la Fema non fornì alcuna indicazione sugli autori e sulle modalità dell’omicidio.
Il caso fu riaperto dopo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Alessandro Macchia, Maurizio Cagnazzo e lo stesso Dario Toma. Quest’ultimo prese parte al commando di fuoco e raccontò chi era con lui. Nel cimitero della mala compare anche il nome di Giuseppe Quarta ucciso l’11 dicembre del 1989 il cui corpo non è mai stato ritrovato e punito perché, come riportato nel capo d’imputazione a firma del procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi, coinvolto nell’eliminazione del fratello del boss, Ivo De Tommasi; Toma avrebbe preso parte anche all’omicidio del vegliese Giovanni Corigliano il 5 novembre del 1989, assassinato a 26 anni. Un corpo mai ritrovato in un caso di lupara bianca.
C’è poi l’omicidio di Ornella Greco e il tentato omicidio del fidanzato Giuseppe Martina (per il quale il giudice ha disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione). Il delitto si consumò nella notte tra il 25 e il 26 novembre a Copertino. Il vero obiettivo del commando di fuoco era l’uomo ma sotto i colpi dei sicari cadde la ragazza. venne ammazzata a bruciapelo con un fucile a pallettoni. Martina, invece, riuscì a sfuggire a quella pioggia di fuoco. Accompagnò la fidanzata in ospedale ma dopo aver appurato che la fidanzata era morta abbandonò l’auto allontanandosi a piedi.
Infine l’omicidio di Francesco Calcagnile, il 10 dicembre del 1989 a Galatone, freddato perché esponente di un clan avverso. Toma è stato assolto perché il fatto non sussiste dal tentato omicidio di Francesco Polito avvenuto il 28 luglio del 2000 a Squinzano, raggiunta da una gragnola di colpi esplosi da un kalashnikov. Il commando di morte, di cui avrebbe fatto parte anche Toma, fuggì credendo che Politi fosse morto scampato miracolosamente all’agguato.
Il dispositivo prevede anche che Toma, scontata la pena, venga sottoposto alla libertà vigilata per 3 anni. A difenderlo l’avvocato Sergio Luceri.