La notizia apparve il 4 novembre 1932. Con il titolo di “Gloria cittadina”, l’Ordine, periodico salentino, annunciò con viva soddisfazione che il giovanissimo Francesco Calasso aveva vinto il concorso, con voti unanimi, per la cattedra di Storia del Diritto Italiano nelle Università del Regno.
L’articolo sottolineava con particolare enfasi l’assoluta brillantezza dello studioso per cui “oltre che i genitori, noi suoi concittadini andiamo giustamente orgogliosi di lui”.
Francesco Calasso, destinato a divenire uno dei più eminenti storici del diritto italiano, nacque a Lecce il 19 luglio 1904 e visse gli anni adolescenziali in via Delle Bombarde, a due passi da quell’Arco di trionfo, l’attuale Porta Napoli, monumento di antica magnificenza fatto erigere nel XVI secolo in ossequio all’imperatore Carlo V.
Allievo del liceo “Giuseppe Palmieri”, già da adolescente pervaso della nobile sete del sapere, iniziò a sviluppare, grazie all’insegnamento di Raffaele De Lorenzis, noto docente di lingua italiana e latina, quell’approccio critico che sarà poi prorompente e di assoluta originalità.
Laureatosi in giurisprudenza col massimo dei voti e la lode presso la Regia Università di Roma, iniziò la carriera scientifica sotto la guida di Francesco Brandileone che, sin dalla preparazione della tesi, l’aveva indirizzato agli studi di storia del diritto.
Importante, in quegli anni, l’incontro anche con Vittorio Scialoja, indimenticato docente di istituzioni di diritto romano.
Quei Maestri il Calasso ricordò sempre con affetto e somma gratitudine in commemorazioni rimaste celebri, raccolte poi, insieme ad altri suoi saggi, nel volume “Storicità del diritto”, apparso postumo nel ’66, a cura dei suoi allievi che intendevano, come scrisse Pietro Fiorelli, onorarne la memoria.
Il cammino accademico del Calasso fu rapidissimo. Il conferimento della libera docenza premiò la pubblicazione di un suo originale contributo sulla “Legislazione statutaria dell’Italia meridionale”.
Completati gli studi all’Università di Monaco in Baviera, gli venne affidato l’insegnamento del Diritto italiano e della Storia del Diritto Romano presso la Regia Università di Urbino. Seguirono gli anni di docenza dapprima a Catania, poi a Modena (1933), Pisa (1934) e Firenze (1935-45).
Indicato fin dal ‘42 come un pericoloso antifascista, nella primavera del ’44 fu arrestato dalla polizia politica e internato come ostaggio, insieme ad altri docenti dell’ateneo fiorentino, nel carcere delle Murate.
Membro del Comitato di Liberazione Nazionale, Francesco Calasso fu uno dei tre insegnanti arrestati che il prefetto Manganiello intendeva far fucilare come rappresaglia per l’assassinio di Giovanni Gentile.
Fu Benedetto Gentile, figlio di Giovanni, che la sera stessa della morte del padre andò dal Manganiello e non lo lasciò finché non ottenne che la condanna a morte, già decisa, fosse sospesa. Quel gesto di grande generosità però non bastava, perché la condanna, essendo solo sospesa, poteva ogni giorno essere eseguita.
A salvarli fu Gerhard Wolf, console tedesco in Italia, non nuovo a queste imprese, come ha ricordato Roberto Calasso nel recente “Memè Scianca”, testo autobiografico dal grandissimo spessore.
Roberto Calasso, con stile impeccabile capace di andare diritto al cuore, ha narrato gli anni della sua adolescenza a Firenze, il dolce rapporto che lo legava al padre Francesco ed alla madre Melisenda, donna coltissima, laureatasi con una tesi su Plutarco, figlia di Ernesto Codignola, illustre pedagogista e tra i fondatori della casa editrice fiorentina La Nuova Italia, nonché sorella di Tristano, esponente di spicco del liberalsocialismo e tra i fondatori del Partito d’Azione.
Nella solitudine dei giorni di carcere, Francesco Calasso compose le pagine geniali de “I Glossatori e la teoria della sovranità” e, indissolubilmente legate, le riflessioni sul rinnovamento morale del Paese dopo la tempesta della guerra.
Al termine del conflitto fu chiamato a Roma dove presto primeggiò da docente e da preside in quella Facoltà che vanta da sempre giganti del pensiero giuridico.
Le sue opere, tra cui “Gli ordinamenti giuridici del Rinascimento medievale”, “Medio Evo del diritto” e “Introduzione al diritto comune”, per citarne solo alcune di una vasta produzione scientifica, aprirono orizzonti culturali luminosi e di assoluta originalità.
L’Università fu il centro della sua passione. Diresse dal ’47, con Filippo Vassalli e poi Pietro de Francisci, la Rivista italiana per le scienze giuridiche; fondò gli Annali di Storia del Diritto e progettò e diresse anche l’Enciclopedia del diritto.
Respinse tutto ciò che potesse allontanarlo dalla vita universitaria ed in particolar modo le cariche politiche. Come ricordò Carlo Arturo Jemolo, fu uno degli uomini più aperti che fosse dato pensare, con interessi che spaziavano dalla musica, di cui era un intenditore raffinato, al teatro ed alla narrativa.
Amante di viaggi, sensibile come pochi alla bellezza di un paesaggio, possedeva la dote non comune di saper ascoltare tutti, al di là dei ruoli. Forte di un cattolicesimo che lo aveva accostato a La Pira, nei cui confronti provava un assoluto rispetto, ebbe in Gaetano Salvemini e Pietro Calamandrei dei costanti punti di riferimento.
Durante il soggiorno fiorentino nacque, parallela all’appassionato magistero della cattedra, un’intensa attività pubblicistica su giornali e periodici, poi raccolta nel volume “Cronache politiche di uno storico”.
All’indomani della Liberazione, in un memorabile articolo, ricordò che l’Università è organismo superiore ad ogni politica, “che lotta per la verità: quella lotta di tutti i giorni, che si riassume in una parola sola, semplice e solenne: scienza”.
Il 10 febbraio 1965 lo scienziato leccese, indimenticato accademico dei Lincei, scomparve prematuramente, lasciando un enorme vuoto nella comunità scientifica.
In via delle Bombarde, sulla bella facciata della casa dove visse gli anni dell’adolescenza e ogni ritorno nell’amata città natia, una preziosa targa ne commemora la figura e l’opera con le solenni parole del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, pronunciate nel 2004 “al colloquio tra giuristi a cento anni dalla nascita di Francesco Calasso”.