“Quelli della generazione del sessantotto pensavano che la rivoluzione fosse un caffè istantaneo”.(Umberto Eco). La percezione che un mutamento profondo era avvenuto si ebbe nella seconda metà degli anni sessanta, con l’esplosione dei movimenti giovanili e studenteschi che attraversarono tutti i paesi industriali sviluppati, comprese alcune regioni dell’area socialista.
L’anno chiave della contestazione giovanile, come venne chiamato questo grande movimento di protesta, fu il 1968, che di quel periodo è diventato l’emblema. I cortei e le occupazioni dell’università erano già cominciati qualche anno prima negli Stati Uniti alimentati dalle lotte degli afro-americani (il leader nero Martin Luther King fu assassinato proprio nel 1968; tre anni prima era stata la volta di Malcolm X) e dai movimenti pacifisti contro la guerra che gli USA stavano conducendo nel Vietnam.
In Europa il movimento di contestazione giovanile ebbe un carattere più decisamente politico e si saldò con le lotte degli operai, specialmente delle grandi fabbriche. Nel maggio del 1968 le grandi manifestazioni degli studenti ed operai parigini misero in seria difficoltà la repubblica francese presieduta dal generale Charles De Gaulle. Un anno dopo, nell’autunno del 1969 (il cosiddetto autunno caldo), la stessa alleanza fra operai e studenti si verificò in Italia durante le lotte per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici.
Questa grande ondata di protesta di cui i giovani furono protagonisti si esaurì nel corso dei primi anni settanta lasciandosi alle spalle alcuni strascichi ed un bilancio controverso. Fra i primi va certamente annoverato il fenomeno del terrorismo politico che fu particolarmente rilevante in Germania ed Italia e che, particolarmente nel nostro paese, ebbe all’inizio un indubbio radicamento nelle lotti sociali. Sul bilancio che si deve trarre di quel periodo (il Sessantotto, come è ormai universalmente definito) non esiste un punto di vista univoco: da una parte vi è chi lo critica perché è stato un periodo di eccessiva conflittualità sociale che avrebbe ostacolato lo sviluppo economico ( senza peraltro realizzare i cambiamenti rivoluzionari che alcuni auspicavano), dall’altra si fa osservare come il Sessantotto sia stato un fondamentale mezzo per la modernizzazione della società ed abbia lasciato una grande eredità fatta di conquiste civili ed una nuova consapevolezza dei diritti.
Se qualcuno a distanza di più di quarant’anni potesse intervistare quella moltitudine di ragazzi e ragazze, giovani sessantottini che hanno vissuto “sulle barricate”, con l’abbigliamento casual, i capelli lunghi, i ciondoli, i braccialetti… segni esteriori di una profonda diversità e di piccole avanguardie che riuscirono a portare in piazza tanta gente, occupando in segno di rivolta giovanile, scuole ed università, scoprirebbe che ciascuno aveva un “suo” motivo per combattere il sistema, per cambiare il mondo.