Due nomi per affrontare due grandi temi che la politica non ha saputo risolvere: il problema del precariato e quello della diffamazione. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino, fa due nomi, due simboli, con il terzo simbolo attaccato alla giacca, quello di “Informazione precaria”
, in occasione della conferenza stampa del presidente del Consiglio, Mario Monti. «Così le farò due nomi – annuncia Iacopino durante la diretta Rai –Gaetano Gorgoni e Amalia De Simone. Il primo era il direttore di una tv in Puglia. Ha stretto i denti, ignorando a lungo i suoi sentimenti. Poi non ha resistito e ha denunciato la vergogna alla quale assisteva. I colleghi che lavoravano per la sua emittente venivano retribuiti con mancette, 300 euro circa per un intero mese di lavoro, da un editore che continuava a percepire soldi pubblici. Il 27.09, in diretta, ha annunciato le sue dimissioni e ha rivelato quel che accadeva, andando incontro a un destino precario. Amalia De Simone ci porta ad affrontare un altro argomento, le pene per la diffamazione. Ha scritto un articolo, c’era un errore, lo ha segnalato prontamente, con il rigore che la contraddistingue, trasmettendo la richiesta della rettifica che è stata pubblicata con ritardo non per sua scelta. L’azienda è stata condannata anche per il titolo a 70.000 euro di risarcimento. Ne chiede 52 mila ad Amalia de Simone: l’equivalente di quattro anni interi di lavoro.Si uccide anche così la libertà di stampa ed è un attentato continuo, sistematico, pianificato, l’ultimo in ordine di tempo fatto in questi giorni nel Veneto».
Iacopino è stato generoso: ha avuto il coraggio di dare voce, sfruttando la ribalta nazionale, agli ultimi, il coraggio di parlare di problemi concreti per accendere un faro sul giornalismo locale e sulla grave crisi della professione giornalistica. Una battaglia difficile che l’Ordine dei Giornalisti ha ingaggiato da un po’ di tempo, il presidente dell’Odg si rivolge a Monti annunciando l’intenzione di parlare dei problemi dei giornalisti senza tutele: «È facile immaginare, signor Presidente, che lei non si sottrarrà al dovere di fare chiarezza sulla situazione che il nostro Paese sta attraversando. Qualcosa mi fa pensare che saranno in molti, non solo qui, ad interrogarsi e a interrogarla sul suo futuro politico e personale. Non le chiederò che cosa ha fatto e che cosa farà e neanche con chi: immagino vorranno occuparsene i colleghi. Non credo, signor Presidente, sarebbe giusto fare qui quanto con qualche sorpresa ho letto stamane, bilanci e in altra sede annunci. Questo è il luogo perfetto perché qui c’è tutta la stampa italiana e una significativa rappresentanza di quella estera e da qui la guarda in diretta un numero elevatissimo di italiani. Sono ben consapevole che le attese sono queste, ma ho un dovere che voglio onorare: dare voce qui, oggi, a chi non la ha quasi mai».
Il dovere dei giornalisti è quello di dare un’informazione completa, ma non si può ottenere questo risultato con compensi da due tre euro ad articolo, afferma con amarezza Iacopino: «Noi non abbiamo bisogno di gesti eroici come questo, signor presidente. Desideriamo avere la possibilità di onorare quel dovere che la Costituzione ci affida». L’equo compenso è una battaglia vinta, ma comincia la guerra per l’attuazione di una legge che i quotidiani nazionali hanno evitato di pubblicizzare (probabilmente non avevano interesse!): «L’attuazione pratica di questa legge in parte dipende da lei- afferma Iacopino – dalla nomina di una commissione chiamata a stabilire parametri che siano equi, che non tengano conto solo dei bilanci, mortificando la vita dei giornalisti e i diritti dei cittadini».
La seconda parte del discorso di Iacopino è tutta incentrata sulla diffamazione, sulla difficoltà per un giornalista locale di fare fronte alle denunce, spesso fatte solo a scopo intimidatorio, e a condanne risarcitorie esorbitanti che impediscono di lavorare con la schiena dritta, specie se sei uno dei migliaia di giornalisti che guadagnano poche centinaia di euro al mese.
Eliana Degennaro