LECCE – Nessun episodio di stalking e il reato viene derubricato in una contravvenzione. E dopo otto anni si chiude una tribolata vicenda giudiziaria per un’insegnante di sostegno di 56 anni, accusata di aver molestato e perseguitato il marito nel corso della separazione. La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico Alessandra Sermarini. L’indagine è stata condotta dal pubblico ministero Stefania Mininni. Alcune denunce del marito hanno messo in moto le indagini. Nel corso della separazione, l’uomo ha raccontato di avere ricevuto numerosi messaggi minatori, ingiurie e offese che provvedeva a trascrivere ed allegare alle numerose denunce, presentate tra giugno 2009 e marzo 2012. La donna è stata così rinviata a giudizio con le accuse non solo di stalking ma anche di ingiuria e percosse e sottoposta a misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dal marito.
Il Tribunale ha assolto la donna dal reato di ingiuria perché depenalizzato. Ha dichiarato, altresì, non doversi procedere in ordine al reato di percosse per difetto di querela. Nelle copiose querele sporte dalla vittima non vi è traccia della commissione di tale reato e della volontà di procedere nei confronti dell’odierna imputata. La vittima fa menzione dell’episodio per la prima volta a dibattimento nel corso dell’esame testimoniale.
Il reato di atti persecutori, del quale sarebbe stato vittima sia l’uomo che la figlia di quest’ultimo, nata dal precedente matrimonio del padre (anche lei persona offesa e costituita parte civile come il padre), è stato riqualificato giuridicamente nella più lieve contravvenzione di molestia o disturbo alle persone.
Nel corso delle indagini veniva appurato che tutti gli sms (eccezion fatta per alcuni in numero ridottissimo) giungevano da un’utenza cellulare attivata presso un centro Vodafone con una carta d’identità intestata a persona estranea ai fatti per i quali è processo. Tale ultima persona aveva denunciato, infatti, lo smarrimento della propria carta d’identità presso la cittadella della salute vecchio Vito Fazzi, centro presso il quale si era recata per una visita medica. Sicchè l’uomo vittima dello stalking aveva immediatamente sostenuto che l’autrice poteva essere la moglie in quanto la stessa prestava servizio presso l’ASL di Lecce.
Sono seguite due perquisizioni domiciliari presso l’abitazione della presunta autrice del reato. In tali occasioni non veniva però rinvenuta né la sim dalla quale partivano gli sms né la carta d’identità con la quale la medesima sim era stata attivata. Veniva sequestrato un telefono cellulare non utile alle indagini nonché una sim intestata alla donna, presunta autrice dei reati. Il Tribunale ha ritenuto che gli sms inviati dalla sim attivata presso il centro Vodafone con la carta d’identità smarrita, non possono essere attribuiti all’imputata perchè il dibattimento ha offerto la prova che la donna, all’epoca dei fatti, non lavorava presso il vecchio Vito Fazzi, come sostenuto dal marito e, quindi non può essere entrata in possesso della carta d’identità per attivare la sim da cui provengono quasi tutti gli sms oggetto del processo, ma lavorava presso diversi plessi scolastici tra Cavallino e Castromediano. L’imputata era difesa dall’avvocato Maria Lorena Puscio.