“La poesia è nostalgia, è immaginazione: vuol dire volare e non avere paura di farlo, è ricerca di completezza. È sopraelevarsi. E il poeta è un ricercatore di idee, di nuove vite, di nuove storie da raccontare”. Queste le parole di Maurizio Leo, contenute ne “Sul boxer del nonno verso la Poesia”, del 2016, attraverso il quale il poeta salentino si esprimeva e continua a farlo, a raccontare nuove storie come questa: “Nella macchina di Neal tanto fumo dentro tanta nebbia fuori”, edita da I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno.
Le atmosfere che si respirano sono le stesse che da sempre accompagnano Maurizio e appartengono alla Beat Generation; intrise di luoghi americani cari al poeta, insieme a quelli dell’Irlanda, della Scozia e della Germania. I suoi versi sono tremendamente autentici, raccontano un quotidiano divenire in un lacerante e onnivoro tempo. Una poesia militante e non di maniera, sferzante, infatti, si legge: «mi dicevano / che i ricchi sono più belli / dei poveri / non me ne sono mai accorto/ se non per i vestiti» (p. 15), e qui anche l’ironia non tanto latente di Maurizio Leo.
Fumo e nebbia sono quella stessa trama che compone il velo, il mistero dissacrato dai poeti della Beat Generation, e per il quale Leo lo scioglie, lo dissolve come il fumo di una sigaretta. Tuttavia, Maurizio va oltre, molto oltre, forse cercherà un altrove indefinito, inesorabile, irreparabile. E allora, Antonio Errico nella prefazione ribadisce la scrittura estrema di tal poeta, che “si sporge nel vuoto con associazioni di immagini inaspettate, con una sintassi di rottura che mette in gioco l’esistenza e la poesia, il loro divergere, convergere … ”. E inoltre, Vito Antonio Conte scrive nell’introduzione “di far finta di non conoscere Maurizio Leo”, suo caro amico, per l’appunto, e lo legge, lo intrepreta, ne parla, evidenziando “la fatica di ricercare poesia, di ri-vedersi in versi”.
Eh sì, perché scrivere poesia costa fatica, perché la vita è fatica, non è una passeggiata in pianura, ma a volte una corsa ad ostacoli, un’avventura colma di imprevisti, una montagna da scalare, lo sforzo di raggiungere e l’impegno di oltrepassare, di passare, e poi inventarsi, mentre “i ragazzini rincorrono una palla”, e “giunse un fulmine / la voce gracchiante dell’amministratore / ‘hai comprato una sedia nuova!’ / gli risposi ‘mi piace’ / avevo l’assegno quel giorno / e non vedevo l’ora di andarlo a bruciare”. Dissacrante “Nella macchina di Neal tanto fumo dentro tanta nebbia fuori”, come la poesia di Ginsberg o Kerouac o Corso.
Un’assoluta mancanza di qualsiasi aulicità, una confessione con sé, con l’altro, con chiunque abbia voglia di leggere tale raccolta poetica. Inoltre, di Maurizio Leo, scrive la figlia Anastasia nella postfazione: «In questi casi, sei preoccupato di conoscere talmente tanto la persona, l’uomo, il lavoratore, il genitore, che temi di non poter elidere questi tratti dallo scrittore che è. In effetti, non dovrei farlo, ma potrebbe capitare che, se non lo facessi, comincerei a non essere imparziale in merito alla sua scrittura. È proprio questo, infatti, il rischio che si corre, quando si legge Maurizio Leo, quello di non riuscire ad essere imparziali». Considerato opportunamente da Anastasia un artigiano della gastronomia e della parola, in quanto poeta e pizzaiolo, menestrello della Beat, il Bardo del Salento, e molto altro, così come i versi contenuti nel prezioso libello “Nella macchina di Neal tanto fumo dentro tanta nebbia fuori” sono tanto altro e molto di più, la certezza sicura di non ricercare mai abbastanza, di non vivere quanto vorresti.
Alessandra Peluso