F.Oli.
MONTERONI (Lecce) – E’ iniziato venerdì pomeriggio in Questura l’incidente probatorio dei braccianti di nazionalità pachistana obbligati a turni di lavoro massacranti e a paghe irrisorie in un’azienda di pomodori di Monteroni. Davanti al gip Vincenzo Brancato, al sostituto procuratore Maria Consolata Moschettini, ad un interprete del giudice e a uno di parte oltre ai titolari della ditta, sono stati sentiti tre lavoratori stagionali, tutti di nazionalità pachistana.
In un lungo ascolto andato avanti fino a sera, i due braccianti, che hanno consentito agli agenti della Squadra mobile di compiere il blitz e di arrestare un presunto caporale presentandosi in Questura, hanno confermato di avere avuto paura per le possibili ritorsioni che avrebbero potuto subire da un loro connazionale; nel lungo ascolto, però, sarebbero emerse alcune contraddizioni con quanto dichiarato agli agenti; incongruenze relative agli orari di lavoro, ai pagamenti e ai giorni di riposo. Sull’aggressione subìta da uno dei braccianti ferito con una coltellata la ricostruzione non sarebbe stata lineare; uno avrebbe parlato di un coltello solitamente utilizzato per uccidere gli animali; l’altro avrebbe riferito di aver visto “probabilmente” un coltello. Sempre venerdì è stato sentito un terzo bracciante. Le dichiarazioni di altri tre braccianti verranno acquisite nei prossimi giorni.
L’indagine anticaporalato risale al 17 agosto scorso quando gli agenti della Squadra mobile di Lecce, con un blitz nell’azienda, hanno arrestato un cittadino pachistano con le accuse di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro, lesioni personali e percosse. Sotto inchiesta sono finiti anche titolare e gestore dell’azienda residenti a San Pietro in Lama, (rispettivamente moglie e marito) denunciati a piede libero, insieme ad una quarta persona sempre pachistana, difesi dagli avvocati Mariangela Calò ed Elvia Belmonte.
Il capo cantiere e i titolari avrebbero utilizzato 32 lavoratori per lo più di nazionalità pachistana, di cui due privi di permesso di soggiorno e nove privi di contratto di assicurazione, per la raccolta ed essiccazione dei pomodori costringendoli a lavorare fino a 13-15 ore al giorno per la paga di appena 80 centesimi per la raccolta di una cassetta di pomodori; alcune prestazioni, dalle testimonianze raccolte, dovevano essere svolte gratuitamente fino a tarda ora dai lavoratori minacciati di perdere definitivamente la retribuzione maturata fino a quel momento.
Ai braccianti sarebbe stato negato il permesso di usufruire del riposo settimanale e di qualsiasi periodo feriale; sarebbero stati costretti a dormire su materassi, in spazi stretti e angusti; i lavoratori, poi, potevano mangiare solo piadine preparate da loro stessi; qualche volta pollo e dovevano usare per bere l’acqua dall’irrigazione. I braccianti avevano a disposizione un solo bagno di pertinenza del casolare, peraltro fatiscente, e per l’igiene personale dovevano far ricorso ad un tubo di irrigazione per i campi.