di F.Oli.
SCORRANO (Lecce) – La Procura di Lecce ha aperto un fascicolo d’indagine per accertare cause e responsabilità sulla morte di Addolorata Paola Mastroleo, 49enne di Scorrano, deceduta giovedì scorso nel reparto di rianimazione del “Vito Fazzi” dopo un lungo calvario. Questa mattina il pubblico ministero, Giovanna Cannarile, ha conferito incarico al medico legale Francesco Introna del Policlinico di Bari, di eseguire l’autopsia sul corpo della donna. L’avviso è stato esteso a venti soggetti, in servizio presso l’ospedale di Lecce, iscritti nel registro degli indagati come atto dovuto con l’accusa di responsabilità colposa per morte in ambito sanitario. I medici, difesi dagli avvocati Ester Nemola, Francesco Palmieri, Stefano Miglietta, Laura Bruno e Viola Messa, hanno nominato come propri consulenti i medici legali Francesco Faggiano e Alberto Tortorella; per i familiari della vittima, invece, seguiti dagli avvocati Mario Blandolino e Valentina Presicce, è stato delegato il medico legale di Milano, Gianluca Bello.
A mettere in moto l’indagine è stata la denuncia sporta dai familiari della donna presso la caserma dei carabinieri del Comando provinciale di Lecce. La peripezia della donna sarebbe iniziata ad agosto quando la 49enne, una casalinga, si presenta presso l’ospedale di Scorrano per alcuni calcoli renali. I medici le prescrivono una cura antibiotica. I problemi, però, non finiscono qui. Anzi, si aggravano. La 49enne avrebbe accusato un forte stato di debolezza che il medico curante avrebbe addebitato alla lunga cura antibiotica. Dopo le analisi del sangue sarebbe stato rilevato un abbassamento dei globuli bianchi rispetto ai valori standard. La donna è stata così ricoverata due giorni (il 15 e il 24 ottobre scorsi) presso l’oncologico di Lecce per sottoporsi al prelievo di alcuni vetrini e comprendere la causa di quell’abbassamento di globuli bianchi nel sangue.
Due giorni dopo è stato effettuato il prelievo del midollo poi inviato all’ospedale Umberto I di Roma. Dai messaggi vocali della paziente e dalle dichiarazioni fornite ai suoi stessi familiari nel corso delle visite, la donna sarebbe stata sottoposta al primo ciclo di chemio associata ad una cura sperimentale già il 2 novembre senza che i medici avessero l’effettiva contezza degli esiti degli esami spediti a Roma. In più, alla donna sarebbe stato impiantato un catetere centrale venoso (per la somministrazione dei farmaci) che, dieci giorni dopo, si sarebbe infettato come comunicato da un dottore. Il picc, secondo i familiari, non sarebbe stato rimosso provocando un’infezione. L’infettologo sarebbe stato interpellato solo tre giorni prima del decesso. A dire dei parenti, troppo tardi. La donna, infatti, il 4 dicembre, è stata trasferita nel reparto di rianimazione in condizioni ormai disperate. Nelle prossime ore, gli avvocati della famiglia presenteranno un’integrazione di denuncia. da qui parte l’inchiesta su questo presunto caso di malasanità.