Al nostro esperto di intelligence e terrorismo, l’avvocato Giovanni Battista Cervo, abbiamo chiesto un breve aggiornamento della situazione in Libia.
La situazione di questo conflitto è in costante evoluzione ma, in sintesi, posso affermare che la guerra in Libia rischia lo stallo e potrebbe trasformarsi in una seconda Siria. La tentata guerra lampo che ha portato, difatti il generale Khalifa Belqasim Haftar a muovere guerra contro Tripoli per spodestare il rivale Fayez Mustafà al-Sarraj, potrebbe evolversi in una guerra di posizione, non riuscendo l’uno in tempi brevi a prevalere sull’altro. Già come in Siria, in Libia ci sono tutti i segnali di una “proxy war” ossia di una guerra combattuta per procura in cui si scontrano gli interessi di molti registi. A livello europeo e NATO manca una linea comune d’intervento o, forse, non si vuole ricordare che il Presidente al Serraj, attualmente sotto attacco, si trova in quel luogo proprio perché collocato dall’ONU. Sicuramente la causa dell’inerzia di un’azione congiunta in Libia va ricercata nelle notevoli ricchezze energetiche presenti nel Paese, da ciò è l’atteggiamento prudente e opportunista, che suggerisce una strategia di basso profilo, basata su aiuti indiretti da convogliare segretamente alla parte sponsorizzata, attendendo la vittoria del cavallo puntato, per poi reclamare una parte del bottino. In Libia non esiste una soluzione militare, e l’Italia ne è ben consapevole: per questo si sta adoperando con ogni mezzo per addivenire ad una soluzione politica e pacifica del conflitto in atto.
Una guerra vinta, in quel contesto regionale, porterà ad un escalation di instabilità e non è da escludere, vista la matrice degli ultimi attentati terroristici, una reviviscenza dell’ISIS, se non addirittura alla ricomparsa ufficiale sul suolo libico del “fantasma” di al Baghdadi. Ad ogni modo per il generale Haftar le cose non sono andate come sperato, probabilmente mal consigliato ad intraprendere un’azione di forza, si è mosso incautamente pensando di poter conquistare Tripoli come in una blitzkrieg, ma la storia è costellata di catastrofi provocate dalla fretta nella conduzione di una guerra. Non riuscendo a conquistare Tripoli, dimostratasi un miraggio l’aspettativa di una rivolta a suo favore, il generale Haftar ha dovuto ripiegare verso la città di Sirte, a 450 chilometri da Tripoli.
E’ chiaro che ora il Feldmaresciallo Haftar cerca di conquistare il consenso, sia interno che internazionale attraverso il messaggio che egli è l’unica garanzia contro il terrorismo e salvaguardia dell’unità del Paese. Il generale Haftar, ha il sostegno ufficiale dell’Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, che appoggiano i salafiti presenti nelle sue file, oltre a godere delle simpatie di Stati Uniti, Francia, e Russia. Il Presidente al Serraj, dal canto suo, può contare sulla Turchia ed il Qatar, che sono con la Fratellanza musulmana, nonché sullo sforzo del nostro Paese che sta peraltro cercando di mediare tra le parti. L’Italia, inizialmente criticata, nonché accusata di essersi schierata con la parte sbagliata, non ha fatto altro che scegliere, tra i due, l’interlocutore legittimo; infatti, contraria da sempre alla soluzione militare, continua a perseguire l’unica politica che attualmente coincide con gli interessi del Popolo Libico, e non solo a favore di Haftar o Serraj, ma in linea con gli interessi Europei, poiché lo scatenarsi di un conflitto non gioverebbe a nessuno.
Ripercorrendo in sintesi gli eventi, tra i vari giochi che si intrecciano nel bacino del mediterraneo, lo scacchiere libico riveste un ruolo geopolitico molto importante. Tutto ebbe inizio dall’alito di vento caldo che, nel febbraio 2011, annunciando l’inizio della primavera araba, si è trasformato in poco tempo, in un forte ghibli che, nell’ottobre 2011, con un potente colpo di coda, spazzo definitivamente il regime di Muhammar Gheddafi. La storia insegna che una rivoluzione, pur se riuscita, in assenza di un vero leader, degenera inevitabilmente in caos. Il dopo regime dimostrò la validità di tale assunto, la fragilità della Libia e dei governi post Gheddafi, che non sono riusciti a trovare l’unità e l’odine. Come prevedibile le molte milizie tribali, locali e regionali, prima unite contro le truppe lealiste del Rais, si sono successivamente spaccate nel solito gioco di potere che vede tutti contro tutti. A seguito di questi eventi la Libia si è divisa in tre parti: la Tripolitania con capitale Tripoli, attuale sede del Governo provvisorio di transizione, riconosciuto ufficialmente dall’O.N.U. e presieduto da al-Sarraj, Presidente del Governo di Accordo Nazionale, (Gna) ; la Cirenaica, nella zona orientale del Paese, con capoluogo Tobruk, dove si è insediato il Governo di opposizione, presieduto dal generale Haftar, l’uomo forte, che attualmente è appunto lanciato alla conquista di Tripoli; infine il Fezzan, che comprende una regione ubicata a sud della Tripolitania e della Cirenaica, si estende nel cuore del deserto del Sahara. Il Fezzan è controllato da gruppi tribali, che cambiano le alleanze in virtù della convenienza, senza escludere che in questo arido territorio possa anche “spontaneamente germogliare” più di qualche nostalgico gruppo radicalizzato dell’estremismo Islamico tristemente noto.
Questa è la situazione di partenza in Libia, anche se in queste ore è in atto un conflitto che vede le forze del generale Haftar, leader dunque del Governo di Tobruk e feldmaresciallo a capo dell’esercito nazionale libico (LNA), combattere per la conquista del Governo, (Gna), di Tripoli. E’ lampante come questa sia una guerra mossa da interessi internazionali, Arabi ed Europei. Il generale Haftar ha sotto il suo controllo i due terzi della Libia, nonché la maggior parte delle risorse energetiche del Paese. In sintesi, Lna, oltre al controllo dei terminal petroliferi in Cirenaica, controlla il Fezzan, la grande regione desertica meridionale e la zona del Sharara, dove si trova il giacimento più grande di tutta la Libia, gestito dalla Noc, la Compagnia petrolifera libica, insieme ad altre compagnie, quali la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv, la norvegese Equinor, oltre la zona di el-Feel, sede del giacimento Elephant, dove opera la nostra Eni. La Libia quindi, si presenta come un Paese frammentato, diviso da molteplici interessi, in un contesto di alta instabilità geopolitica, dove tutti gli accordi, i summit, saranno destinati a fallire, laddove i reali attori protagonisti non troveranno i giusti equilibri. La responsabilità internazionale rimane quella di aver abbattuto un regime senza essere in grado di gestire il dopo mentre i problemi per il nostro Paese sono legati alla cooperazione con il Governo di Tripoli che, se pur provvisorio, è sempre legittimo.