LECCE – Il presunto capo clan Pasquale Briganti lascia il carcere. Il giudice per le indagini preliminari Marcello Rizzo ha attenuato la misura cautelare detentiva con quella più blanda dei domiciliari perché, nel frattempo, si sono attenuate le esigenze cautelari, come peraltro sollecitato dai suoi avvocati difensori Antonio Savoia e Ladislao Massari con una specifica istanza. Briganti era finito in gattabuia il 12 aprile del 2012 nel blitz ribattezzato “Game Over”. Stando alle indagini condotte dagli agenti della Squadra mobile di Lecce, il 52enne leccese, meglio conosciuto come “Maurizio”, avrebbe ricoperto un ruolo apicale nonostante non gli venisse contestata l’accusa di mafia ma di traffico dio sostanze stupefacenti.
Soggetto di spicco della Sacra Corona Unita nell’ordinanza veniva indicato come “capo, promotore e dirigente del clan che porta il suo nome, operante nella zona di Lecce e in particolare nella zona 167 B del capoluogo salentino (le c.d. “Vele”), attivo nel settore del traffico di stupefacenti, delle estorsioni, del gaming e dei servizi di guardiania”.
Quattro giorni dopo il suio arresto, Briganti (già condannato quattro volte per associazione mafiosa con sentenze irrevocabili il 7 ottobre del 2000, il 7 marzo del 2006, il 22 luglio del 2016 e il 4 aprile del 2019 e di recente con la sentenza emessa in abbreviato l’11 giugno del 2021 nel maxi processo scaturito dall’operazione “Final Blow”), respinse nel corso dell’interrogatorio di garanzia l’etichetta di aver tirato le fila di un sodalizio mafioso spiegando di sentirsi stanco di dover ogni volta vedere il suo nome accostato a operazioni antimafia di rilievo.
Da due mesi, prima del suo arresto, Briganti aveva iniziato a lavorare in una pizzeria del capoluogo e lo si vedeva, di sovente, accompagnare la figlia in una scuola privata.