Nate dalla costola di Adamo, secondo l’Antico Testamento, ma preistorico simbolo di fertilità; emblema della famiglia ma anche del peccato originale; lodate dall’Amor Cortese nel Dolce Stil Novo, ma tacciate di stregoneria dopo neanche un secolo.
Ancora vittime di pregiudizi tutti racchiusi nell’epiteto “il sesso debole”, ma alle volte troppo emancipate da aver quasi perso il fascino del mistero. Come diceva Oriana Fallaci “Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida, che non finisce mai”.
Emily Dickinson
A chi leggendo i suoi versi volesse darle un volto, a chi volesse confinare la sua immaginazione che si apre verso scenari incredibilmente vasti con la sua poesia, Emily Dickinson, della quale ci è giunto solo un dagherrotipo di quando era poco più che una ragazzina, ci ha lasciato anche una sua breve descrizione: “Non ho ritratti recenti, ma sono piccola come lo scricciolo, ho i capelli arditi come il riccio della castagna, e gli occhi hanno il colore dello sherry che l’ospite lascia in fondo al bicchiere.” Sole poche righe, datate 1862, indirizzate al critico Thomas Higginson, con il quale proprio da quell’anno intrattenne una fitta corrispondenza. Non aveva altro contatto con il mondo esterno se non lettere su lettere da quando a soli venticinque anni decise di immergersi nel suo mondo, racchiuso tra le quattro mura della sua camera, colma di libri e fogli sparsi.
Nasce ad Amherst nel 1830 da una famiglia molto in vista in città: il padre, uomo politico, era tesoriere e legale dell’Amherst College.
Dimostra ben presto il suo carattere ribelle e anticonvenzionale, rifiutandosi di accogliere la richiesta della direttrice del college che impose alle allieve di professare a gran voce la loro cristianità, alzandosi tutte in piedi; o ancora decidendo di non vestire di nero come tutte le dame dell’epoca, ma solo ed esclusivamente di bianco.
I suoi primi versi, così come le sue prime poesie, giungono quando Emily è poco più che una ragazzina, questo non le vieta di far emergere da subito tutta la sua inquietudine, scandita da interrogativi metafisici sulla vita, sull’immortalità, e sulla morte, tema che affronterà più e più volte nelle sue poesie.
La sua intensa attività poetica s’infittisce sempre più a partire dal 1858, è c’è chi, tra i critici, ricollega ciò all’amore, in quegli anni, infatti Emily, la poetessa di bianco vestita, si innamora perdutamente di un uomo a cui indirizza tre dolenti missive, rivolgendosi a lui con l’epiteto di “maestro”. Tante le supposizioni sull’identità dell’uomo: per alcuni è il reverendo Charles Wadsworth; c’è chi pensa sia Samuel Bowles, un amico del padre nonché direttore di una rivista su cui proprio in quegli anni saranno pubblicate quattro poesie anonime della Dickinson; o chi pensa sia il giudice Otis P. Lord, e non manca chi crede si tratti addirittura di Dio. Al di là di mistero che probabilmente non ci verrà mai svelato, ciò ammalia e seduce noi lettori è il modo in cui Emily si avvicina a questo sentimento: la sua è una pena d’amore che la porta ad un conflitto interiore intenso e impetuoso: lei, la ribelle, lei che ha scelto la libertà e l’indipendenza, per quanto ciò abbia significato aver scelto anche la solitudine, si trova ora a dover lottare tra il bisogno di sentirsi amata e protetta e la sua necessità di isolamento.
Sembrerebbe banale parlare di musica pensando ai suoi versi, ma il suo poetare semplice, quotidiano, senza fronzoli e senza pretese, sembra nascere proprio sui tasti di un pianoforte o sulle corde di un soave violino, e ci immerge in un mondo fatato del quale percepiamo tutti i suoni: allegro e spensierato il ritmo con lo scrosciare dell’acqua dei fiumi, o con il cinguettio degli uccelli, poi grave e tenebroso quando si affaccia la morte.
Morì a 56 anni, nel 1886; il suo funerale per sua volontà non passò dalle strade pubbliche, ma per i campi che lei tanto amava e che guardava germogliare dalla finestra della sua camera. Le sue oltre mille poesie subito dopo le regalarono l’immortalità, proprio a lei che non aveva mai voluto pubblicarle. “Il successo” diceva, infatti, “è più dolce nel pensiero di chi non lo raggiunge mai”.
Informazioni tratte da Emily Dickinson, Poesie, La Grande Poesia del Corriere della Sera.