Il loro pullman è partito presto da Tricase stamattina e quando è arrivato, a Lecce, ha portato con sé tutta la rabbia e la frustrazione delle risposte non ricevute e che si spera di ottenere dal tavolo convocato in Prefettura.
Sono le 10 in punto quando i cassaintegrati dell’Adelchi decidono di bloccare via XXV luglio. Battono sulle auto ferme, mandano il traffico in tilt. “Dobbiamo farci sentire in qualche modo”, cerca di giustificarsi Tonia. Farsi sentire. È stato il silenzio finora a mortificare più di tutto i 720 operai del calzaturificio dell’imprenditore Sergio. Le forze dell’ordine ci mettono poco a deviare il flusso su altre arterie. Ma loro rimangono lì, al centro della strada, per tutto il tempo in cui su si discute e si deve decidere senza più rinvii. Dal 1 gennaio, infatti, rischiano di passare in mobilità. Rischiano cioè di essere licenziati una volta per tutte. Da quasi tre anni sono in cassa integrazione, a casa, e le prospettive sono prossime allo zero. Sopra, a coordinare i lavori il Prefetto Giuliana Perrotta. Ci sono i sindacati confederali. Ci sono i membri del Comitato Michele Frascaro. Ci sono il Presidente della Provincia Gabellone e la Vice di Vendola, Loredana Capone, assieme all’Assessore regionale al Welfare Elena Gentile. C’è una parte, solo una parte, della deputazione salentina. A mancare all’appello sono Fitto e Mantovano, Lazzari e Barba, Ria e Ruggeri, quest’ultimo a pochi passi a presenziare invece all’aperitivo del Terzo Polo in vista delle amministrative leccesi. Che ci vuoi fare, priorità. Assenze, però, da rimarcare e rendere note.
La notizia del giorno arriva in diretta, durante la riunione: una telefonata fatta dalla Capone ai funzionari del Mise fissa la data: il 14 dicembre, alle 15, è convocato il tavolo interministeriale per discutere della vertenza, presso la sede di via Molise, a Roma. Ed è lì che si giocherà l’ultima carta. Per scongiurare il licenziamento bisognerà estendere l’Accordo di Programma del 2008 anche all’area tricasina. L’Accordo che era stato modellato per tutta l’area del Pit 9, quella del Tac, ha avuto finora come unico protagonista il Cluster Filanto. Ora bisognerà che i vertici romani prendano atto che anche i lavoratori dell’Adelchi rientrano nel Pit 9. Insomma, bisognerà far capire che se un’altra qualsiasi azienda vorrà venire ad investire nel Salento potrà attingere dal bacino dei cassaintegrati tricasini, in cambio di aiuti economici. Fino a questo momento nel contenitore ci sarebbero 40milioni di euro, non spesi. E la domanda allora è: ma come potrà il Mise convincersi che qualcuno guarderà a questa periferia della periferia, se in quattro anni un solo lavoratore della Filanto non è stato ricollocato? “Abbiamo noi il coltello dalla parte del manico, stavolta”, commenta la Capone. Dal cilindro, infatti, viene tirata fuori una manifestazione di interesse che sugli ex operai Adelchi avrebbe fatto un noto gruppo industriale, Iacobucci, uno dei tre coinvolto anche nella riconversione della British American Tobacco a Lecce. D’altronde, dopo la smobilitazione della manifattura tabacchi, 78 di quei lavoratori hanno rinunciato ad essere assorbiti dalla Iacobucci, preferendo la buonuscita. Dunque, si scoprono vuoti da un lato e si aprono spiragli e margini di manovra dall’altro. Ma, si sa, condizione necessaria perché tutto questo avvenga è che gli operai del calzaturificio non risultino licenziati. È indispensabile, cioè, che continuino ad ottenere cassa integrazione. E se anche l’interessamento di Iacobucci potrebbe riguardare, diciamolo chiaramente, solo piccoli numeri, questo potrebbe essere, ad ogni modo, il grimaldello per far riottenere la cassa integrazione ministeriale per tutti. Dopo 20 mesi, si torna a correre verso Roma, insomma, con questa speranza, l’ultima. Se il Ministero si girerà dall’altra parte, già dal giorno successivo, già da giovedì, la direzione aziendale dell’Adelchi ha facoltà di riattivare le procedure di mobilità. E, poi, amen.