“Ma a te verrebbe mai in mente di fare una cosa simile? Ma è pazzesco! Ma io non voglio neppure pensarci!”. Oreste mi guarda un po’ stupito, un po’ amareggiato. I piedi sprofondano nella terra rossa, morbida. Ogni tanto spunta un tappeto di olive nere nere, mai raccolte.
“E’ perché stanno lasciando tutto in abbandono. Non se ne cura più nessuno. Se le prospettive sono queste, chi se ne importa”, dice qualcun altro. Siamo a Lequile, nei pressi del campo sportivo. Di fronte a noi l’uliveto si perde a vista d’occhio, un manto grigio-verde filtrato qua e là dai raggi del sole. Un inno alla gioia. Che, però, fra un po’ di mesi, potrebbe trasformarsi in una distesa di croci. Questi patriarchi verdi dovrebbero piegare la testa di fronte a capannoni industriali, un “mito di progresso” fuori tempo eppure ancora valido nel pensiero di qualche amministratore. Sono 720 gli ulivi condannati a morte. Alcuni, a giudicare dal diametro del tronco, sono secolari. Dovranno fare spazio all’ampliamento della zona industriale, fagocitati dal secondo lotto che si vuole realizzare su circa 20 ettari. È del 18 luglio scorso la delibera della Giunta guidata da Antonio Caiaffa, quella in cui si stabilisce che “condizione essenziale per l’attuazione del comparto 2 del Pip sia lo svellimento degli alberi di ulivo”. Svellimento. Una parola più gentile per dire sradicamento. Si sta solo aspettando il nullaosta dell’Ufficio provinciale agricoltura. Poi, solo i proprietari, che hanno posto come condizione quella di tenere gli alberi, potranno reimpiantarli nei luoghi che sceglieranno. Altrimenti, se ne farà legna da ardere. Il Comune di Lequile ha fretta, almeno di assegnare “sulla carta” i lotti alle ditte, “al fine di incassare le relative quote economiche”. Gli espropri di tutte le particelle, infatti, costeranno alle casse pubbliche 1.056.000 euro, somma “che non può essere anticipata da questa Amministrazione”, si cita testualmente. Ecco perché si starebbe bypassando la procedura di esproprio, lasciando fare direttamente alla compravendita tra privati: il contadino vende alla società quel terreno su cui nascerà l’ azienda. Tutto in regola, per carità. Tenendo presente, tuttavia, che in questo modo si scavalca l’assegnazione dei lotti migliori. Però, abbiamo detto, c’è fretta. “Presso l’ufficio Pip sono giacenti, pronte per l’istruttoria, ben 20 richieste di assegnazione di suoli per altrettanti insediamenti produttivi”. Insomma, la piccola Lequile ambisce a diventare una grande città industriale. E l’ampliamento avrebbe tutte le carte per essere giustificato. D’altronde, si legge nelle premesse della delibera di luglio, è “esaurita l’assegnazione ed edificazione dei lotti del comparto 1 del pip”, per questo l’amministrazione comunale ha avviato le procedure per l’attuazione del secondo. Tutto fila. Anzi, filerebbe. “Ma vieni a vederla questa zona industriale, vieni!”, mi invita animatamente Maurizio. Giriamo in lungo e in largo sui vialetti, le opere di urbanizzazione sono ancora in corso. E quello che notiamo smonta quello che sapevamo. Molti lotti sono vuoti. Su alcuni sono state addirittura edificate delle belle villette con le tegole. Tutti assegnati, sì, cinque anni fa, ma mai “edificati”, contrariamente a quanto si sosteneva nella delibera. “Io ne ho chiesto uno da tempo. Sai cosa mi hanno risposto? Che devo aspettare la costruzione del secondo lotto! Ma come, con questi vacanti?! Così rischio di perdere anche un grosso finanziamento”. Marcello Capone ci viene incontro con garbo ma parla con rabbia. E’ il titolare della Clima Tech, affiliata Lg e capace di dialogare da qui con investitori giapponesi. Si scontra, ci dice, con un muro di gomma. Ma insomma, davvero dovrebbe aspettare? In verità no. L’art.13 del regolamento comunale del 2002, ancora in vigore, è chiaro: “Trascorso un anno dall’assegnazione provvisoria del lotto, senza che l’impresa assegnataria abbia dato inizio alla costruzione degli stabilimenti, il Sindaco provvede alla revoca del provvedimento di concessione. Solo in casi eccezionali, e su domanda da parte dell’impresa assegnataria, il Sindaco, previo parere della Commissione, può concedere una sola proroga non superiore a sei mesi”.
Qui sono passati, nel migliore dei casi, non sei mesi ma sei anni. I lotti già urbanizzati rimangono congelati. A favore di pochi. Nel tritacarne finiscono, invece, le aspettative di molti. E finirà, probabilmente, anche un patrimonio di 720 ulivi rigogliosi, a cui il Salento, sempre più spesso, sta rinunciando.