Un atto forte per dare un segnale forte. I Giovani Democratici della provincia di Lecce sono in presidio permanete presso la sede di partito in via Tasso. “Non si tratta di occupazione – ha spiegato il segretario Luciano Marrocco – al contrario, una presa di posizione in difesa del partito in cui ancora crediamo”.
I fatti degli ultimi giorni hanno messo fortemente in crisi un Pd uscito già malconcio dalle elezioni politiche dello scorso febbraio, fino all’epilogo finale di ieri sera con le dimissioni dei vertici nazionali, Bersani e Bindi.
Errori madornali che si potevano evitare è il commento quasi unanime tra i militanti e i simpatizzanti. Il diniego ad accettare l’elezione del presidente della Repubblica nel candidato individuato dal Movimento 5 Stelle, Stefano Rodotà, ha scisso prima l’equilibrio interno della coalizione di centrosinistra per poi agitare gli animi di quella che in gergo è la base, cioè il popolo.
Le analisi delle ultime 48 ore si sprecano ma il ragionamento è elementare: accettando il candidato indicato dai grillini si sarebbe aperto un dialogo con questi affossando definitivamente il centrodestra di Berlusconi. Invece la solita imposizione, spocchiosità per alcuni, ha condannato l’esigua maggioranza di Montecitorio che ancora una volta ha dato prova di forti spaccature dovute alle tante, troppe correnti che la compongono. Senza unitarietà il progetto politico, se pur valido come ancora tanti militanti sostengono, non avrebbe attecchito.
Nel partito, tuttavia, sono ancora in tanti a crederci. Lo hanno ribadito anche i Giovani democratici salentini pur prendendo le distanze da una classe dirigente litigiosa e spaccata all’interno che ha messo in crisi il progetto costituente del partito. “Il senso di smarrimento che ci pervade – ha commentato il segretario – è lo stesso dei nostri parlamentari”. Il segnale forte che dovrebbe arrivare da Roma, secondo l’assemblea permanente costituitasi questa mattina, dovrebbe essere quello scatto di orgoglio a staccarsi dalle direttive interne ed ascoltare le voci che provengono da fuori.
Eppure Bellanova, Maniglio (scelto come grande elettore), Capone, inizialmente “dissidenti” e dopo la sconfitta de candidato indicato dal Pd, Franco Marini, hanno deciso di optare per Prodi, secondo tra i prescelti del Partito Democratico alla quarta votazione. Il nulla di fatto anche per Prodi ha determinato le dimissioni dei vertici nazionali.
Al centrosinistra mancano i numeri, non è una novità, non manca occasione al centrodestra di ricordare che la coalizione guidata da Bersani ha uno scarto di 160mila voti su quella guidata da Berlusconi, bruscolini tradotti in seggi.
Non è certo questo un buon motivo per frantumare un partito che fino a tre mesi fa si dichiarava coeso e vincente a larga maggioranza. Invece al suo interno, nei due rami del Parlamento, 101 di loro, escludento i 47 Sel che hanno palesato la volontà di votare Rodotà ad oltranza, non hanno inteso seguire le indicazioni che venivano dai vertici.
Il risultato di queste scelte è anche una mobilitazione nazionale fatta, in molti casi, di atti forti. I Giovani Democratici in altre parti d’Italia, già dal primo giorno di voto per il presidente della Repubblica, hanno dissentito le scelte inaugurando l’ “Occupy Pd”, e “impossessandosi” delle sedi di partito.
“In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo – hanno commentato i GD leccesi – le reazioni dalla base sono necessarie a far capire che non si stanno rispettando le istanze che gli elettori chiedevano.
Il terremoto che ha stravolto il Pd e le sue sorti, dopo le elezioni del presidente della Repubblica, culminerà certamente in un Congresso anticipato che selezionerà, si augurano i GD, una nuova classe dirigente, rinnovata non nei dati anagrafici ma nel modo di intendere un nuovo soggetto politico che sia in grado di intercettare gli umori che stanno fuori, non solo quelli delle sale.
“Al congresso chiediamo il rinnovamento adeguato ad interpretare le istanze della società civile che oggi sono interpretate e convogliate da altre forze politiche. Sarebbe auspicabile anche chiamare in causa per nome e cognome chi ha raso al suolo il partito, sarebbe un atto di responsabilità”.
All’assemblea di questa mattina era presente il consigliere provinciale Alfonzo Rampino, il primo a lanciare l’allarme in ambito locale e in tempi non sospetti, su quanto sta avvenendo nel quadro nazionale. La scelta del nuovo segretario provinciale dopo la partenza di Salvatore Capone alla volta di Montecitorio, ha creato non pochi malumori all’interno dell’Assemblea provinciale. Rampino ha più volte esortato ad una scelta condivisa, che sia il più possibile partecipativa perché “in un partito bisogna dimostrare generosità – ha commentato questa mattina – se non si hanno comportamenti leali e responsabili non si può interloquire in maniera credibile e costruttiva”.
Sull’ interlocuzione il partito Democratico sembra avere ancora delle riserve. Non ha saputo dare risposte sul motivo per cui c’è tale posizione contraria, per molti dei suoi, sulla scelta di Rodotà. O non ha voluto. D’ altronde la laicità di Stefano Rodotà poco avrebbe influito sulla corrente cattolica del Pd. Semmai il contrario sarebbe stato difficile.
M. Cristina Pede