di Claudio Tadicini
SALENTO – Tre distinti gruppi criminali – con basi operative tra Martano, Scorrano e Torchiarolo – che controllavano lo spaccio di stupefacenti nella propria zona di competenza, non esitando a compiere estorsioni ai commercianti ed intimidazioni con armi ed esplosivi, per riscuotere i debiti di droga.
Tre diverse associazioni per delinquere – una delle quali di tipo mafioso e verticistico, caratterizzata dalla presenza all’interno di esponenti vicini al clan De Tommasi della Sacra Corona Unita – smantellate all’alba di oggi dai carabinieri della Compagnia di Maglie, nell’ambito dell‘operazione “Orione” e terminata con l’arresto di 35 persone, 17 delle quali ai domiciliari. Tra questi ultimi figura anche l‘ex portiere dell’Us Lecce Davide Petrachi, 31enne, debuttato in serie A con la maglia giallorossa nel campionato 2011 – 2012. Due persone, invece, sono attualmente latitanti.
Oltre ai destinatari delle 37 ordinanze di custodia cautelare (qui l’elenco con i nomi degli arrestati) – emesse dal gip del Tribunale di Lecce Vincenzo Brancato, su richiesta del procuratore della Direzione distrettuale antimafia Guglielmo Cataldi e del sostituto procuratore Maria Vallefuoco – le indagini hanno coinvolto altre 25 persone.
A vario titolo, gli indagati rispondono dei reati di: associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, danneggiamento, danneggiamento seguito da incendio, detenzione abusiva di armi, detenzione di materie esplodenti, detenzione e spaccio di stupefacenti, estorsione, favoreggiamento personale,furto aggravato, minaccia aggravata, porto abusivo di armi, ricettazione, sequestro di persona e violenza privata.
Le indagini dei militari della Compagnia di Maglie, diretti dal capitano Giorgio Antonielli, hanno consentito di individuare i tre gruppi, i loro presunti capi ed il territorio in cui operavano. Il primo – con base a Martano e capeggiato dal 59enne Paolo Serra – attivo nei territori di Borgagne, Carpignano Salentino, Martano, Melendugno, Otranto; il secondo – con base a Scorrano e capeggiato da Vincenzo Amato- attivo nei territori dei comuni di Botrugno, Cursi, Cutrofiano, Maglie, Muro Leccese, Neviano, Nociglia, Poggiardo, Santa Cesarea Terme, Scorrano e Ruffano; il terzo – con base a Torchiarolo e capeggiato dai fratelli Luigi e Paolo Guadadiello – a carattere mafioso e ritenuto vicino al clan “De Tommasi” di Campi Salentina, attivo nei comuni di Squinzano, Torchiarolo, Trepuzzi e Tricase.
Uniti dagli affari nello spaccio di droga. L’anello di congiunzione tra i tre gruppi, infatti, sarebbe stato il traffico di sostanze stupefacenti. A fare da collante, in particolare, il gruppo operante su Scorrano e capeggiato dal latitante Vincenzo Amato (condannato in via definitiva a 19 anni e 6 mesi di reclusione per traffico internazionale dalla Colombia), in grado di importare ingenti quantitativi di droga dall’Albania, dalla Spagna e dal Marocco, e di rifornire di stupefacenti non soltanto i due gruppi salentini, ma anche alcuni clan di Roma, del quartiere napoletano di Secondigliano e del clan “Di Cataldo” di Bitonto. Partite di droga di ogni tipo – prevalentemente marijuana, hashish, cocaina ed eroina – per un volume d’affari annuo di circa un milione di euro, come testimoniato da alcuni “pizzini” rinvenuti nel corso di alcune perquisizioni.
L’ORIGINE DELL’INDAGINE: LE FOTO COMPROMETTENTI SUL CELLULARE
L’indagine “Orione” ha avuto origine nel febbraio 2015, quando due degli arrestati – Giuseppe Angelino e Christian Stomeo, entrambi 24enni – furono bloccati in flagranza di reato, dopo essere sfuggiti ai carabinieri che erano impegnati in un controllo stradale. Ai due furono sequestrati i cellulari. E all’interno di quello di Angelino furono ritrovate diverse foto compromettenti: fotografie di chili di stupefacente, ma anche immagini che lo ritraevano in posa mentre brandiva una pistola, oppure davanti ad un tavolo pieno di soldi.
Le ulteriori analisi eseguite sugli smartphone dei due giovani, poi, hanno permesso agli investigatori dell’Arma di ricostruire la rete di componenti nonché gli assetti dei tre distinti gruppi criminali – dediti al traffico di stupefacenti, ai furti ed alle estorsioni ai danni degli esercizi commerciali – che si spartivano buona parte del territorio della provincia di Lecce.
Indagini rese difficoltose dalle contromisure e dagli accorgimenti che i vari componenti adottavano di volta in volta, nel timore di essere intercettati dalle forze dell’ordine: uso di linguaggio criptico, utilizzo di apparecchiature elettroniche per eludere le intercettazioni, oppure di congegni elettronici per rilevare microspie e bonificare abitazioni e vetture, che hanno costretto i carabinieri a ricorrere alle cosiddette “indagini tradizionali”, fatte di servizi di osservazione, appostamenti e pedinamenti. Indagini che hanno consentito ai militari di documentare gli incontri tra i vari esponenti dei sodalizi coinvolti nei traffici di droga e, in alcuni casi, anche di scovare la sostanza stupefacente, che veniva occultata in impensabili nascondigli di cemento, all’interno di muretti a secco nelle campagne.
Durante le indagini, terminate nel febbraio 2016, i carabinieri hanno sequestrato complessivamente 26,6 chili di hashish, 311 grammi di cocaina, 17 grammi di eroina nonché quattro detonatori, due ordigni esplosivi artigianali, un Kalashnikov, cinque pistole e varie munizioni, a testimonianza della spregiudicatezza e della pericolosità dei tre gruppi smantellati nel blitz odierno.
IL GRUPPO DI MARTANO
L’associazione per delinquere che aveva le sue basi a Martano, attiva anche nei territori dei comuni di Melendugno ed Otranto, secondo le indagini era capeggiata da Paolo Serra, che si avvaleva della collaborazione di Sergio Pede, della compagna Alina Elena Mihailescu nonché di Antonio Tomasi, Lorenzo Antonaci e Christian Stomeo.
Le attività tecniche e di intercettazione dei carabinieri hanno permesso di ricostruire la loro stabile attività di spaccio, i loro spostamenti ed i vari viaggi per il rifornimento di stupefacente.
Rilevante il ruolo svolto dalla Mihailescu, l’unica donna del gruppo, che procedeva al taglio della sostanza e aveva spesso il compito di accompagnare i componenti di sesso maschile, in maniera da evitare di destare troppi sospetti in caso di controllo. Nell’attività di spaccio, inoltre, sarebbero stati impiegati anche dei minorenni (i figli degli arrestati), utilizzati per il trasporto e l’occultamento della droga in caso di controlli.
Il gruppo aveva disponibilità di armi da fuoco ed era dedito alle estorsioni tramite il metodo del “cavallo di ritorno”, rubando veicoli e richiedendo un corrispettivo per la loro restituzione. Inoltre avrebbe progettato rapine e compiuto numerosi danneggiamenti e incendi su commissione, dietro il pagamento di denaro, richiesti da concorrenti commerciali ai danni di altre attività “rivali” o per regolare dissidi personali.
In più, avrebbe organizzato spedizioni punitive nei confronti di coloro che venivano ritenuti responsabili di confidenze alle forze dell’ordine o di offese nei confronti dei componenti dell’organizzazione. Come accaduto ad un malcapitato spacciatore di Giurdignano, accusato ingiustamente dell’incendio dell’auto in uso a Pede. Il giovane fu prelevato dalla sua abitazione da Pede ed Angelino. Questi ultimi, dopo averlo condotto in auto in un luogo isolato nei pressi dei laghi Alimini, mimando le modalità tipiche di un’esecuzione mafiosa, lo costrinsero ad inginocchiarsi e tentarono di fargli confessare il danneggiamento, puntandogli una pistola alla testa.
Gli investigatori sono riusciti ad individuare i canali di rifornimento di armi e stupefacenti, riconducibili al clan Tornese di Monteroni di Lecce e all’associazione di Scorrano, capeggiata da Amato.
IL GRUPPO DI SCORRANO
Conosciuto come “Piscileddhru” ed in passato associato al clan Coluccia di Noha, Vincenzo Amato è latitante dal febbraio 2016. Condannato in via definitiva per traffico internazionale di stupefacenti con la Colombia, sebbene “uccel di bosco”, stando alle indagini risulterebbe a capo del gruppo attivo su Scorrano, specializzato in particolar modo nell’approvvigionamento dello stupefacente, e risultato essere uno dei fornitori del gruppo di Serra (Martano) nonché dei bitontini Di Cataldo.
I contatti tra le sue associazioni sono stati ricostruiti grazie all’iniziale approfondimento del ruolo di Giuseppe Angelino, facendo emergere – anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia – un’articolata associazione organizzata in maniera strettamente verticistica, di cui farebbero parte con vari ruoli e responsabilità anche Cosimo Miggiano, Paolo Merico, Vittorio Tunno, Andrea Caputo, Fabrizio De Mitri, Alessandro Alessandro, Virgilio Gnoni, Antonio De Iaco, Giuseppe Nuzzo,l’ex portiere del Lecce Davide Petrachi, Carmine De Rinaldis, Antonio Zezza, Christian Coluccia, Armando Capocelli nonché lo stesso Angelino.
Anche questa associazione è risultata essere in possesso di armi da fuoco ed esplosivi, tra cui quattro detonatori ad alto potenziale, verosimilmente impiegati nel compimento di attentati ed estorsioni. Anche in questo caso è emerso l’utilizzo di strumentazione per la rilevazione di microspie e la continua e frequente “bonifica” delle auto in uso al gruppo, nonché il cambio quasi ossessivo di schede (anche estere, in particolare olandesi e albanesi, rinvenute in occasione di sequestro) e apparecchi telefonici al fine di eludere le indagini.
È emerso, inoltre, come questa associazione era in grado di procurarsi stupefacente da fornitori internazionali in Spagna, Marocco e Albania. Viaggi all’estero che venivano eseguiti dal Miggiano, il più stretto collaboratore del latitante Amato, documentati dalle accurate indagini tecniche dei militari.
La base operativa del gruppo era in un bar di Muro Leccese, dove avvenivano gli incontri -documentati da servizi di osservazione e pedinamento – con esponenti delle altre organizzazioni criminali leccesi e con trafficanti di stupefacenti di nazionalità albanese, venuti appositamente per contrattare i termini della fornitura. Ogni partita ammontava a decine di migliaia di euro (ad esempio, in due episodi sono stati accertati scambi per 40 e 65mila euro).
Il giro d’affari dell’organizzazione è difficilmente stimabile, ma assume enormi proporzioni se si considera quanto emerso dal sequestro, operato dai carabinieri della Compagnia di Maglie, di numerosi “pizzini” contenenti la contabilità dello spaccio, che solo nel mese di settembre 2015 fanno rilevare un traffico di di droga – cocaina, eroina e marijuana – ammontante a oltre 300mila euro. Parte degli incassi venivano “investiti” per il sostentamento dei familiari dei sodali detenuti, delle loro compagne e per il pagamento delle spese legali.
IL GRUPPO DI TORCHIAROLO
Un altro gruppo che si riforniva di stupefacente dal sodalizio di Amato era quello capeggiato dai fratelli Luigi e Paolo Guadadiello, con basi tra Squinzano e Torchiarono. Si tratta del gruppo cui gli investigatori contestano l’associazione di tipo mafioso, poiché ritenuto inserito all’interno della Sacra Corona Unita. Oltre che dai due fratelli, l’associazione brindisina sarebbe stata composta da Roberto Antonio Guadadiello, Stefano Guadadiello, Marco Maggio nonché da Anna Cristina Guadadiello, Adele Visconti ed Alba Conte.
Fondamentale, in questo caso, è risultato essere il ruolo delle donne del sodalizio, che portavano all’esterno del carcere le disposizioni date dai capi del clan mafioso, detenuti al tempo delle indagini. In particolare la Conte, moglie di Paolo Guadadiello, nel corso della detenzione del marito, avrebbe svolto il ruolo di vero e proprio contabile dell’associazione, distribuendone i proventi agli appartenenti e decidendo le nuove forme di “investimento”.
L’associazione, dotata di armi da fuoco e fucili da guerra (5 pistole e un ak47 kalashnikov con relativo munizionamento, sequestrati dalla Stazione Carabinieri di Torchiarolo il 18 novembre 2015), si sarebbe resa protagonista di numerosissime estorsioni nei confronti dei soggetti acquirenti di stupefacente, anche appartenenti al gruppo stesso, non disdegnando di ingaggiare vere e proprie sparatorie nei pressi delle abitazioni degli stessi (Paolo Guadadiello, insieme ad altri due individui, fu infatti arrestato per molteplici episodi di tentato omicidio, mentre il fratello Luigi è attualmente detenuto per un omicidio consumato nel 2008).
L’attenta analisi dei colloqui in carcere, inoltre, ha consentito agli investigatori dell’Arma di rilevare i classici elementi dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, e in particolare la gerarchizzazione, il controllo del territorio e la riscossione del pizzo, la condizione di assoggettamento derivante dalla forza intimidatoria del vincolo associativo, la ripartizione dei profitti, la disponibilità di armi, il sostentamento economico dei soggetti detenuti e dei loro familiari, l’indicazione del legale e l’accollo delle relative spese nei procedimenti penali.
Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare, sebbene non risultino associati ad alcuno dei tre gruppi, figurano anche Pietro Sparapane, Stefano Sparapane, Cesario Longo e Luigi Fuso.
Nel complesso, il blitz ha visto la partecipazione di 157 carabinieri, 47 mezzi nonché l’utilizzo dei nuclei cinofili delle Compagnie di Modugno e Tito e del reparto degli Artificieri ed Antisabotaggio del Comando provinciale di Lecce. Gli arrestati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Mario Blandolino, Luca Puce, Luigi e Arcangelo Corvaglia, Francesco Spagnolo, Ladilslao Massari, Maria Cristina Caracciolo, Selene Mariano, Silvio Giardiniero, Salvatore De Mitri, Stefano Pati.