F.Oli.
CAVALLINO (Lecce) – Nessuna minaccia; nessun caso di sfruttamento; nulla, insomma, di penalmente contestabile. Si chiude con una sentenza assolutoria piena il processo a carico della responsabile di un call center e di quattro suoi collaboratori finiti sul banco degli imputati con l’accusa di violenza privata a carico di una decina di dipendenti. Perchè il fatto non sussiste la formula con cui il giudice Valeria Fedele ha vanificato la richiesta di condanna a 3 anni e 8 mesi di reclusione per Greco Elisa, 43enne di Galatina, responsabile del call center con sede a Cavallino e di quattro collaboratori Maria Angela Piccinni, di 38 anni, di Presicce; Maria Concetta Accogli, 37, di Scorrano; Marco De Vitis, 33enne e Vincenzo Mancini, di 39, entrambi residenti a Lizzanello.
Il verdetto emesso dal giudice disattende la richiesta di risarcimento per ognuna delle parti civili quantificato in 550mila euro assistite dagli avvocati Roberta Capodieci, Salvatore De Mitri, Bendetto Scippa, Ilenia Antonaci, Ilenia Bruno, Cosimo Miccoli e Maria Bruno. Il processo ha dunque fornito una differente chiave di lettura alle accuse contestate dal sostituto procuratore Paola Guglielmi. Secondo le indagini, messe in moto dalle denunce, nel settembre del 2013 i dipendenti sarebbero stati costretti a ritmi di lavoro forsennati sotto la continua minaccia di essere licenziati. Non solo. Ai lavoratori sarebbe stato negato l’utilizzo del telefono cellulare o persino di andare in bagno per malesseri causati dall’uso eccessivo del computer. Nel corso delle indagini l’attività all’interno del call center non è mai stata interrotta e tutti i documenti sequestrati sono stati successivamente riconsegnati alla società.
Gli avvocati difensori Francesco Calabro, Francesco De Iaco, Viola Messa, Marino Giausa e Gianfranco Gemma, attraverso una corposa documentazione e sulla base delle testimonianze acquisite in aula, hanno dimostrato l’infondatezze delle accuse delle parti civili. La società del call center, come responsabile civile, era assistita dall’avvocato Giuseppe Corleto.