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La riscoperta del mistero e simbologia del Presepe durante la pandemia del Covid19

di Adele Quaranta

Il Natale 2020, caratterizzato dalle difficoltà prodotte dalla diffusione della pandemia, è stato vissuto in famiglia, in maniera silenziosa e profonda, «… senza tante luci sulla terra ma con la stella di Betlemme, niente regali ma con l’umiltà dei pastori alla ricerca della verità, senza grandi banchetti ma con la presenza di un Dio onnipotente, senza le strade piene di gente ma con il cuore ardente per Colui che viene, vivendo il Mistero senza paura del Covid-Erode e condividendo, come fece Cristo nella mangiatoia, la nostra povertà, la nostra prova, le nostre lacrime, la nostra angoscia e la nostra condizione di orfani. Ci sarà Natale perché abbiamo bisogno di questa luce divina in mezzo a tante tenebre … » (Padre Javier Loez, sacerdote di Pamplona in Spagna).

A San Donato di Lecce (5.546 abitanti al 31-12-2020, compresi quelli della frazione, Galugnano), mio Paese di adozione, distante 10 km dal capoluogo leccese,  nel giardino (un tempo coltivato allo scopo di garantire la sussistenza della famiglia contadina), situato nella sezione retrostante a una “casa a corte” – struttura abitativa tipica del Salento, attualmente sede del Museo della Civiltà Contadina “Terra di Vigliano” e della Biblioteca “Giovanni De Blasi” –, veniva allestito il Presepe Vivente, un irrinunciabile appuntamento, giunto alla XXVI edizione nel dicembre 2019/gennaio 2020.

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foto di Adele Quaranta

La manifestazione si snodava, per circa 1 km, fra il centro storico ed un tratto della Serra Salentina (debole ondulazione del terreno che supera, in questo territorio, appena i 100 mt s.l.m.), dove lo scenario naturale conserva ancora l’ambiente millenario particolarmente suggestivo, per la presenza sia di rocce affioranti, ruscelli, laghetti e piante tipiche della macchia mediterranea (olivo, fichidindia, mandorlo, acanto, geranio purpureo, radicchella di Terra Santa, clematide, etc), sia di beni architettonici del mondo contadino, fra cui trulli, pozzi, frantoio, aie, casette, noria (ruota idraulica adibita all’emungimento delle risorse idriche), etc. Il percorso presepiale si proponeva, infatti, sia come suggestivo mix di ritualità e antiche tradizioni popolari, sia come occasione rivolta a rivivere il Natale all’insegna dell’accoglienza, tolleranza, generosità, amicizia, creatività e laboriosità, nonché a favorire la formazione di una mentalità cosmopolita, aperta alla solidarietà, tolleranza, generosità, cooperazione e rispetto delle “diversità”.  Quest’anno, invece, a causa dell’emergenza pandemica scaturita dal Covid-19, è stata realizzata, simbolicamente, una Natività sobria e toccante, situata all’ingresso della struttura museale.

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(foto di Giuseppe Taurino)

Tuttavia, la nascita di Gesù, nell’insolito Natale 2020, si è arricchita di una particolare simbologia ed ha consentito di riconsiderare questo importante evento della cristianità – così come tramandato dai Padri della Chiesa –, nell’ottica dell’impegno personale e della riflessione sul significato della Natività. Gesù Bambino, avvolto nelle fasce, fu adagiato, fra il bue e l’asinello, nella mangiatoia di una stalla ubicata sul fianco della collina, perché, a causa dello svolgimento del censimento voluto dall’imperatore Ottaviano Augusto, i genitori non trovarono un posto disponibile nelle locande (Lc 2,7). Per motivazione di carattere censuario, Giuseppe si recò da Nazareth in Galilea, a Betlemme in Giudea (sua città natale, a 10 km a sud di Gerusalemme e piccola cittadina della Palestina, situata a circa 800 mt s.l.m.), affrontando quattro giorni di cammino e percorrendo, a piedi, 130 km, su una strada di montagne nel periodo delle piogge, accompagnato, come racconta san Luca, dalla sua sposa Maria, la quale, incinta, viaggiava sull’asinello, che trasportava anche i bagagli.

La vicenda narrata, comunque, è arricchita da diversi componenti iconografici, tipici dell’arte sacra. Ad esempio, il manto azzurro indossato dalla Vergine Maria richiama, a livello simbolico, il cielo, mentre gli abiti dimessi di Giuseppe rimandano all’umiltà.

Secondo la profezia di Isaia, il bue e l’asinello rappresentano, inoltre, rispettivamente, il popolo giudaico ed i pagani. Isaia dichiara, infatti, che «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone …» (Is, 1,3), alludendo al nuovo popolo di Dio, simboleggiato, nell’immaginario collettivo, dalla coppia di animali che richiamava gli ebrei (simboleggiati dal bue, che, con i suoi muggiti avrebbe indicato la stalla) ed i pagani (raffigurati dall’asino, che accompagnò Giuseppe e Maria nel corso del viaggio).

Intorno alla figura del Bambinello, che costituì un fenomeno nell’ordine immutabile ed eterno – un re che nasce povero, una stalla che splende di luce –, ruotano innumerevoli significati simbolici e rituali, comuni ad altre religioni, a volte misteriosi o nascosti tanto nei personaggi quanto nei luoghi presepiali, tramandati dai Vangeli sia canonici (Luca e Matteo) che apocrifi, oppure dal Protovangelo di Giacomo, dalla tradizione orale, leggende, elaborazioni postume e vicende storiche, intrecciate a partire dalla nascita di Gesù che non risale all’anno zero e neanche al 25 dicembre, giorno scelto convenzionalmente, per la prima volta, nel IV secolo, quando i devoti a Mitra, celebravano la festa dedicata al dio Sole in occasione del solstizio invernale. L’imperatore Costantino (III sec.), convertito al Cristianesimo, cancellò la celebrazione pagana e la dedicò alla nascita del Salvatore.

La riscoperta del presepe, inteso come simbolo di pace e di liberazione per tutti i popoli della terra, scaturisce, forse, dall’osservazione della Sacra Famiglia con lo sguardo semplice e ammirato dei primi pastori, i quali, in quella regione, rimanevano svegli la notte, per sorvegliare il loro gregge. Erano  considerati persone umili, poveri, diseredati, privi di diritti (non era consentito loro neanche testimoniare in tribunale), scevri da qualsiasi aspetto apparente ed effimero, capaci, quindi, di aprirsi a tutta la verità, di scendere in profondità, di cogliere l’essenza degli esseri e di avere una visione interiore, grazie proprio al particolare lavoro di vigilanza e abitudine alla contemplazione.

Ai pastori, avvolgendoli di raggi luminosi, si presentò un angelo del Signore, il quale disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo, oggi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc, II, 8-14), irradiata dalla luce.

La Natività brulica di personaggi di ogni genere, uomini che inconsapevolmente collaborarono al progetto di Dio, animali, re, pastori, esseri soprannaturali, fra cui l’angelo, custode e guerriero celeste – una sorta di trait d’union fra l’uomo ed il divino nei testi e nelle rappresentazioni iconografiche più antiche, simbolo di un incontro tra opposti, di conciliazione tra ordine e disordine –, che appare in sogno a Giuseppe (Mt 1, 18-25) e gli comunica che il vero padre di Gesù è Dio, concepito miracolosamente da Maria per opera dello Spirito Santo, senza rapporto carnale con il suo promesso sposo (inizialmente intenzionato a ripudiarla, in segreto, poi, accettò il mistero della maternità, sposò la Madonna e, ispirato dalla misericordia, riconobbe legalmente Gesù come proprio figlio. Perciò la tradizione lo chiama padre putativo (dal latino puto = credo), colui “che era creduto” suo genitore (Lc 3,23).

Un’altra modalità di rivalutazione del significato profondo di quella sperduta grotta, dove ha inizio la rigenerazione del mondo, è stata rappresentata dall’accostamento ad essa con l’intelligenza, sapienza e silenzio adorante espressi dai Magi (ritenuti astrologi, indovini, filosofi), membri di una casta sacerdotale venuta da lontano, i quali, secondo il Vangelo Arabo dell’Infanzia, apocrifo, erano Melchiorre (un persiano), Gaspare (un arabo) e Baldassarre (un etiope).

Durante il regno di Erode, guidati da una stella luminosa, avevano intrapreso un viaggio lunghissimo, con le loro carovane – provviste di vari prodotti, armenti e masserizie –, alla ricerca del luogo dove era nato il Salvatore. Nel giorno dell’Epifania, i re Sacerdoti, compaiono davanti alla grotta, divenendo presto, da un lato, l’immagine dei popoli delle terre allora conosciute e, dall’altro,  per alcuni, l’espressione delle tre razze umane scaturite dai figli di Noè (Sem, Cam e Jafet). Secondo la tradizione cristiana, sono i primi, fra i pagani, ad aver riconosciuto e adorato il Signore ed indicato il cammino terreno dell’uomo dal sonno al risveglio, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla morte alla rinascita, dalle tenebre alla luce. Davanti alla Sacra Famiglia, s’inginocchiarono come fanciulli indifesi ed inermi, aprirono i loro scrigni, offrirono oro, incenso e mirra, che simboleggiavano, rispettivamente, la regalità, la divinità e l’umanità di Cristo (l’oro, infatti, è riservato ai re, come Gesù; il secondo viene donato come testimonianza di adorazione alla sua divinità ed la terza, usata nel culto dei morti, in quanto il Re dei Re è uomo e, perciò, mortale). Da ciò è scaturita la tradizione di donare dolci e giocattoli ai bambini, tradizione che s’incrocia, pertanto, con la leggenda della Befana.

I mitici re, commossi, adorarono quello che, all’apparenza, non era altro che uno dei tanti bambini nati in quel tempo, ma che, in realtà, è l’Emmanuel, quello che sarà, nel libro biblico di Isaia, il Messia, il quale porterà pace, giustizia sociale, riscatto e dignità ai più poveri e diseredati. Dal punto di vista dottrinale, infatti, il Vangelo, secondo Luca, sottolinea, con racconti teologici dei segni, la misericordia, la dolcezza e la bontà del Salvatore.

Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, che attendeva di sapere dai tre saggi l’ubicazione esatta della Natività, fecero ritorno nei loro Paesi percorrendo un’altra strada.

Dopo otto giorni dalla nascita, secondo la legge di Mosè, avvenne la circoncisione del bambino, cui Giuseppe impose il nome Gesù. La Sacra Famiglia rimase a Betlemme per un periodo non ben determinato, forse da un minimo di 40 giorni (Lc 2,22; 2,39) a un massimo di due anni (Mt 2,16). Dopo, secondo Matteo, avvertito in sogno da un angelo, Giuseppe, con la sposa e il figlio, fuggì in Egitto a causa della persecuzione del re Erode che, avendo udito il racconto dei Magi, voleva liberarsi di quel nascituro “Re dei Re”, uccidendo tutti i bambini di Betlemme da zero a due anni.

Finalmente, dopo un periodo di esilio non ben definito, ricevuto in sogno l’ordine di partire, poiché Erode era morto, la famiglia rientrò a Nazaret.

Le prime vicende della vita terrena di Gesù e della Sacra Famiglia, narrate dai Vangeli sono cariche di profonde valenze simboliche e vengono espresse, pertanto, dal Natale con i suoi innumerevoli valori interiori. Fino al 2019, tuttavia, il periodo natalizio è stato trasformato in un evento sociale, dove le luci degli alberi, le decorazioni e l’esteriorità hanno continuato a prevalere sull’interiorità e sulla conversione cristiana, mediante lo sfruttamento dell’immagine del Divino Bambino e della sua famiglia, adattati a diverse esigenze commerciali, oltre a quelle sempre più laiche, laiciste e liberiste, in contrapposizione alla sana dottrina cattolica ed alla spiritualità originaria.

I negozianti hanno utilizzato a lungo il Presepe, infatti, in base al prodotto da vendere e le famiglie, anche praticanti, trasformato l’evento natalizio in una corsa ai regali, alle cene, cenoni e divertimento, dedicando una quota insignificante del tempo disponibile alla visita di Gesù per la Messa di Natale, oppure alla propria conversione.

Il Natale 2020, è stato trascorso in famiglia, in maniera intima e spirituale, con pochi addobbi, luci sfarzose ed abbracci, nonché con modeste tavolate, nel rispetto delle regole anticovid, con un’attenzione verso i meno fortunati, chi ha perso i propri cari, gli afflitti da paure e difficoltà  economiche, i ricoverati in ospedale, i dotati di abitazioni fredde o di salute cagionevole, i disoccupati ed i senza tetto. S è trattato di un Natale con la speranza che la stella cometa illumini il percorso di ognuno di noi nel corso del nuovo anno, da trascorrere all’insegna della solidarietà e fratellanza, secondo le parole di Madre Teresa di Calcutta: «È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano; ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro; ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società; ogni volta che conosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. È Natale ogni volta che permetti al Signore di amare gli altri attraverso te».

Altresì, è stato incentrato sull’impegno personale e profonda riflessione in merito al significato della Natività e, quindi, al senso e valore della vita, onde effettuare un tentativo di rinascita e rinnovamento, nonché trovare sia la forza per superare i momenti difficili, sia il coraggio di non arrendersi mai nella  speranza di un domani migliore, la possibilità di stupirci ancora dinanzi alle meraviglie del mondo ed alla bellezza della vita, degna sempre di essere vissuta in qualsiasi situazione, come questo periodo messo a dura prova dalla pandemia di Covid-19 che ci separa dagli altri, spesso dimenticati a causa del consumismo, edonismo, falsi miti e secolarismo.

 

 

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