MELISSANO (Lecce) – La Corte di Cassazione non fa sconti e conferma l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi a carico di Daniele Manni, 41enne di Casarano e Angelo Rizzo, di 25, residente a Melissano, i presunti assassini di Francesco Fasano, il 21enne ucciso con un colpo alla tempia il 21 luglio del 2019 sulla provinciale per Ugento. I due imputati sono stati ritenuti responsabili delle accuse di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai motivi abietti e futili connessi con il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Già in primo grado il solo Manni era stato assolto in primo grado dal duplice tentato omicidio proprio del 21enne e di Pietro Bevilacqua scampati alla morte tre giorni prima (episodio dal quale è stato assolto in primo grado).
Fasano cadde in un’imboscata perché sarebbe rimasto l’unico soggetto ancora in circolazione mentre i suoi presunti sodali, temendo di finire in qualche agguato, si erano allontanati da Melissano. Qualcuno doveva comunque essere eliminato e il gruppo Manni, dopo la scissione interna, aveva l’obbligo di lanciare un messaggio alla frangia avversa.
Subito dopo l’omicidio del giovane, racconta l’indagine condotta dai carabinieri della Compagnia di Casarano e dai colleghi del Nucleo Investigativo di Lecce (coordinati dal procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi e dalle sostitute Stefania Mininni e Maria Vallefuoco) sia Daniele Manni che Angelo Rizzo avrebbero avviato una frenetica attività di telefonate dirigendosi prima verso Gallipoli e poi a Lecce. Dal contenuto delle conversazioni, secondo l’impostazione accusatoria, i due avrebbero impartito una serie di disposizioni per mettere in sicurezza alcuni familiari nel timore di rappresaglie e per occultare la Fiat Bravo probabilmente utilizzata per compiere l’omicidio.
In particolare Daniele Manni contattò telefonicamente la moglie intimandole di “prendere i ragazzi” e “di andare a casa” perché non sarebbe tornato e pianificato false prove per allontanare i sospetti da sé. Effettivamente l’analisi delle celle telefoniche, nel corso di tutta quella notte, confermò che i due presunti sicari non rientrarono a casa ma da Melissano avrebbero vagato per diversi paesi fino a raggiungere Lecce. La stessa moglie di Manni, sentita a sommarie informazioni, avrebbe cercato di fornire un alibi al proprio congiunto con il quale, a suo dire, aveva trascorso la serata in casa di amici. Quando venne sollecitata a fornire indicazioni più precise manifestò la volontà di avvalersi della facoltà di interrompere la sua deposizione. Negli atti processuali è confluita anche la prova dello stub eseguita a distanza di circa 8 ore dal delitto. L’accertamento eseguito per rilevare residui di polvere da sparo sulla pelle e gli indumenti dei presunti sicari ha fornito un esito differente: positivo per Manni; negativo per Angelo Rizzo. Nonostante i risultati differenti, i due imputati sono stati entrambi condannati con sentenza definitiva.
Nel filone parallelo, relativo all’associazione a delinquere, la Suprema Corte ha annullato con rinvio davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Taranto per Antonio Librando, Daniele e Luciano Manni e Angelo Rizzo. I familiari di Francesco, (il padre Giuseppe, la madre Maria Caputo e la sorella Sara) erano assistiti dagli avvocati Luigi Corvaglia e Claudio Miggiano, per i quali è stata già disposta una provvisionale di 50mila euro ciascuno mentre il resto del danno sarà quantificato in separata sede. Il collegio difensivo era completato dagli avvocati Francesca Conte Stefano Prontera.