MINERVINO (Lecce) – Uccise la sua ex fidanzata perché la ragazza aveva deciso di rifarsi una nuova vita lontano. Ma lui non aveva accettato quel distacco e, il 1°febbraio del 2021, dal Napoletano raggiunse il Salento con un unico motivo: ammazzare la donna “che non poteva essere più sua”. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo nei confronti di Salvatore Carfora, 41enne di Torre Annunziata, omicida reo confesso di Sonia Di Maggio, una ragazza di 30 anni, originaria di Rimini, trasferitasi mesi prima in Salento dove avrebbe voluto rifarsi una vita con Francesco Damiano, un ragazzo conosciuto nei mesi precedenti.
Carfora, sempre detenuto, è stato condannato con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi ma è caduta l’aggravante dello stalking così come richiesto dall’avvocato Cristiano Solinas. Confermato il risarcimento in favore della madre di Sonia che insieme al marito e alla sorella della vittima, assistiti dagli avvocati Vincenzo Blandolino e Gennaro Gedaleta, si erano costituiti parte civile oltre all’associazione Gens Nova (rappresentata dall’avvocato Antonio La Scala).
Con un alter ego, Carfora aveva conosciuto la ragazza romagnola cercando di nascondere il suo oscuro passato. E sotto mentite spoglie aveva costruito la relazione fino a quando Sonia non ha scoperto rovistando in un borsello la vera identità dell’uomo che aveva avuto al suo fianco per mesi. Aveva mistificato la sua identità, Salvatore Carfora. Nel nome e nella persona. Originario di Torre Annunziata, pregiudicato e gregario di bassa lega di una cosca del posto, la sua ultima residenza certificata era proprio in uno dei quartieri dello spaccio di droga della cittadina dell’hinterland di Napoli. Subito dopo, era stato segnalato dalle forze dell’ordine in un dormitorio nei pressi della stazione centrale di Napoli; di fatto era un senza fissa dimora e con un falso nome aveva conosciuto Sonia.
Carfora, però, era un uomo violento, possessivo ed estremamente geloso. E per questo a fine dicembre Sonia era andata via. Per sempre. Nel frattempo aveva conosciuto Francesco. E con lui avrebbe voluto costruirsi un futuro. Ed era arrivata in Salento carica di speranze e di fiducia. Carfora, però, non era sparito dalla sua vita. Era andato fino a Rimini per cercarla. Aveva parlato anche con sua madre e aveva recuperato il numero di telefono del nuovo compagno di Sonia. “Siete due morti che camminano” gli aveva scritto in un messaggio finito agli atti del processo. Un messaggio chiaro.
Con questa ossessione Carfora partì da Torre Annunziata lunedì 1° febbraio del 2021.“Ha ucciso non solo per gelosia ma per qualcosa di più – come spiegò in aula il pm Alberto Santacatterina nel processo di primo grado – perché Sonia non voleva più proseguire in quella storia; si è sganciata e lui non aveva alcuna più presa. E Carfora è finito in capo al mondo”. In capo al mondo si intende il Salento. In pullman fino a Foggia. Poi su un treno con destinazione a Lecce. E infine in bus per raggiungere Specchia Gallone, frazione di Minervino. Aveva un coltello con sé “determinato ad uccidere Sonia non appena l’avesse trovata. Ed effettivamente l’assassino scese dal pullman e lasciò lo zaino e per quanto fosse stata una coincidenza aver incrociato Sonia in bus, la giovane non ebbe neppure il tempo di bloccare l’aggressione.
Puntò sull’effetto sorpresa, Carfora appena sceso dal pullman. Sferrò le prime coltellate alla donna dalla parte di dietro sulla parte posteriore del collo e successivamente infierì sul volto della vittima “come a volerla sfregiare” quando cadde per terra. Trenta-trentadue coltellate inferte con una determinazione impressionante al capo oltre che al corpo che danno la misura dello slancio omicida. E poi Carfora cercò di mentire: sul pre e sulle fasi susseguenti al delitto per cercare di allontanare da sé le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi e abietti. Che invece la Corte di Cassazione ha ritenuto di confermare.