
LIZZANELLO (Lecce) – Ammazzarono un giovane con tre colpi di pistola perché avrebbe osato definire un presunto capobanda della zona “un infame”. Un’offesa, in certi ambienti, che vale quanto un’onta da lavare anche con il sangue. Tre ergastoli, con isolamento diurno di 1 anno, sono stati inflitti ai presunti responsabili dell’omicidio di Gabriele Manca, ucciso a soli 21 anni, nel marzo del 1999 nelle campagne di Lizzanello. La Corte d’Assise (Presidente Francesca Mariano, a latere il collega Pietro Errede e i giudici popolari) si è allineata con la richiesta invocata dal pubblico ministero della Dda Carmen Ruggiero e ha condannato al fine pena mai Omar Marchello, 40enne, Pierpaolo Marchello, 41enne, entrambi di di Lizzanello, e secondo l’accusa sul luogo dell’omicidio e Giuseppino Mero, 54 anni, di Cavallino, che avrebbe accompagnato la vittima in campagna.
Il collegio difensivo, composto dagli avvocati Giancarlo Dei Lazzaretti, Fulvio Pedone, Umberto Leo e Germana Greco, nel corso di lunghe e articolate arringhe, aveva cercato di smontare l’assunto accusatorio contestando la genuinità delle dichiarazioni dei collaboratori Alessandro Saponaro e Alessandro Verardi che avrebbero rappresentato uno dei punti focali su cui si fondava un processo ritenuto indiziario, carente sul movente (un’ingiuria) e privo del ritrovamento dell’arma utilizzata per compiere il delitto. Le dichiarazioni dei pentiti si sarebbero dovute ritenere viziate perché propaggini di rivelazioni fornite dagli stessi imputati che non possono essere sentiti a discolpa. Per questi tipi di prove indirette e per le quali il codice prevede la verifica della fonte da cui è stato appreso il fatto la conferma sarebbe dovuta arrivare solo ed esclusivamente dagli stessi imputati che non possono essere ascoltati. Pertanto, per il collegio difensivo, la Corte avrebbe dovuto verificare le dichiarazioni dei pentiti in maniera rigorosa e superare il ragionevole dubbio. Peraltro le stesse testimonianze fornite a dibattimento non sarebbero le stesse rilasciate nel corso dell’indagine. In sintesi una doppia dichiarazione non può sostenere un’accusa già naufragata negli anni scorsi quando il procedimento era stato archiviato prima che nella vicenda facessero irruzione due pentiti del calibro di Saponaro e Verardi. Il presunto autore materiale, Carmine Mazzotta, 47enne, di Lecce, è stato già condannato a 30 anni di reclusione in abbreviato nei mesi scorsi.
Secondo le indagini Mazzotta avrebbe ucciso la vittima con tre colpi di pistola calibro 7.62 in aperta campagna perché aveva picchiato Marchello in piazza tempo prima bollandolo come un infame per averlo denunciato ai carabinieri. E per ribadire la propria supremazia sul territorio quel doppio affronto doveva essere vendicato con il sangue. Quel tragico pomeriggio di sangue, era il 17 marzo del 1999, Gabriele Manca aveva un appuntamento con il padre Giovanni per essere accompagnato alla stazione ferroviaria di Lecce. Militare di leva, residente a Lizzanello, sarebbe dovuto rientrare a Foggia. All’appuntamento con il padre, però, non arrivò mai. Il genitore lo attese. Invano. Il giorno dopo, preoccupato, il genitore si recò in caserma per denunciarne la scomparsa. Le ricerche scattarono nell’immediatezza. Furono scandagliati gli ospedali della provincia ma di Gabriele Manca “attenzionato” dalle forze dell’ordine “per un carattere irascibile”, una sorta di cane sciolto, non fu trovata alcuna traccia. Fino alla tragica scoperta.
Il corpo di Manca venne ritrovato il 5 aprile, il giorno di Pasquetta, accanto a un muretto a secco sulla strada tra Lizzanello e Merine. Il giovane era stato assassinato a colpi di pistola, una Tokarev semi-automatica calibro 7,62, e ferito mortalmente al torace, al braccio e al gluteo destro. Era stato colpito di spalle mentre cercava una disperata quanto inutile fuga. A fornire un’accelerata decisiva alle indagini condotte dai carabinieri del Ros di Lecce, come detto, sono stati i collaboratori di giustizia tra cui Alessandro Saponaro e Alessandro Verardi.
Il movente dell’omicidio si dovrebbe ricondurre ad un litigio che la vittima aveva avuto con Omar Marchello nelle piazza del paese. Secondo la ricostruzione del carabinieri Manca ferì al volto “il rivale” con un taglierino. Sempre il giovane, sfrontato e sicuro di sé, avrebbe definito Marchello “un infame” per averlo denunciato ai carabinieri quale autore del suo ferimento. In questo contrasto sarebbe maturato – secondo gli investigatori – il proposito di vendetta. Manca avrebbe pagato con la vita la insubordinazione e la irriverenza nei confronto di Marchello che tentava di imporre la sua supremazia criminale a Lizzanello. La sera dell’omicidio il giovane militare sarebbe stato attirato in un tranello. Mero, con il pretesto di favorire un chiarimento con Omar Marchello, avrebbe accompagnato Manca in campagna dove, però, lo avrebbero atteso i killer. Da allora Marchello e Mazzotta avrebbero assunto un ruolo rilevante nelle frange della Scu leccese rimediando condanne per droga e mafia.
I genitori e i fratelli di Manca si sono costituiti parte civile con l’avvocato Fabrizio D’Errico e saranno risarciti con una provvisionale di 50mila euro ciascuno.