LECCE – Le cronache recenti tratteggiano, a livello nazionale, un quadro sicuramente poco edificante del panorama universitario e accademico italiano, quasi con lo scoperchiamento di una sorta di vaso di Pandora nelle procedure di reclutamento di professori e ricercatori. Problematiche per certi aspetti ataviche, che concorrono, purtroppo, ad adombrare gli aspetti più squisitamente legati alla formazione e alla ricerca. Prof. Fernando Greco, anche in considerazione della sua passata esperienza istituzionale, in seno a diversi organi collegiali dell’Università, dai quali ha potuto riservare un’attenzione privilegiata alle dinamiche accademiche, qual è il suo pensiero in merito al momento contingente del sistema universitario nostrano?
«La sua domanda presuppone una premessa sistematica. Che l’attuale momento storico non sia tra i più meritori, è quasi un dato oggettivo, anche in considerazione della propalazione seriale di notizie inerenti a indagini, scandali, interventi, di diversa natura, della magistratura. Negare l’esistenza di alcuni problemi strutturali sarebbe un esercizio retorico di negazione della verità ed è quanto di più deleterio si possa fare, se intenzionati a un percorso virtuoso di miglioramento, che deve fondarsi sull’autocritica. Del pari, però, è ugualmente erroneo ricadere inuna generalizzazione dei problemi e delle criticità, che, sicuramente, per loro natura, sono più diffusivi e contagiosi dei meriti. Non si tratta di convincere a guardare il dito e non la luna, mistificando la realtà. Sono fermamente convinto, però, che associare la realtà accademica esclusivamente a giochi strategici di potere sia gravemente penalizzante per quanti, con convinzione, decisione e capacità, abbiano deciso di intraprendere la carriera universitaria, la stiano portando, proficuamente, avanti, anche tra molteplici difficoltà, credendo in un’idea di accademia, quale palestra di formazione, di valori, di crescita».
Ormai sono trascorsi un po’ di anni dalla sua uscita di scena dai contesti istituzionali. Ha deciso di mettere definitivamente da parte la politica accademica?
«Non è necessaria una presenza diretta per fare, attivamente, politica accademica, specie in un contesto peculiare quale quello universitario, che vive di dinamiche sue proprie, incentrate sulla programmazione e la realizzazione di attività diverse, trasversali, ma ugualmente finalizzate alla crescita dei soggetti coinvolti, in primis, e di tutto il contesto territoriale, in via mediata. Peraltro, ogni scelta che facciamo, o che decidiamo di non fare, è in un certo senso fare politica. Venendo al dunque della sua domanda, la mia passione per la “politica accademica” è risalente nel tempo, quasi coeva al mio ingresso nei ranghi universitari, da quando, ormai molti anni addietro, fondai l’Associazione dei Ricercatori dell’Università del Salento, per poi impegnarmi istituzionalmente sia come delegato del Rettore ai rapporti con i Ricercatori sia come delegato al Personale. Il climax della mia esperienza è sicuramente rappresentato dall’elezione a Senatore Accademico, nel 2012. Sono state tutte esperienze che, come giustamente faceva notare, mi hanno offerto un punto di osservazione privilegiato, interno alle dinamiche istituzionali, consentendomi di conoscere i meccanismi di funzionamento della “macchina”dell’Università e che, non da ultimo, hanno dato un significativo contributo alla mia formazione, umana e professionale. È nella natura stessa delle cose, però, che tutto abbia un inizio e una fine. È importante essere riconoscenti verso le esperienze passate, variare le proprie prospettive e, soprattutto, contribuire a un ricambio nei ruoli istituzionali, specie apicali: il cambiamento e il rinnovamento delle idee e delle persone che le propongono è fondamentale nelle realtà partecipative e collegiali, perché arricchisce il sistema e consente la generazione di nuove energie. Mi sia consentito un significativo parallelismo: anche la pandemia ci ha insegnato quanto sia dirimente una buona areazione e un buon ricambio d’aria negli ambienti chiusi; credo debba essere così anche nei consessi politici e istituzionali».
Quindi non ha alcuna voglia di tornare a ricoprire attivamente ruoli istituzionali?
«Potrebbe essere una domanda capziosa, ma, fortunatamente ho una risposta estremamente efficace nella sua laconicità. Se il riferimento è a riproporre un impegno, in prima persona, nella “politica accademica”, le rispondo molto chiaramente: assolutamente no. Ho chiuso e, come già detto, considero definitivamente conclusa la mia parentesi in seno alle Istituzioni accademiche. Sarebbe, però, antitetico con la mia idea di Università, quale luogo di formazione e crescita, incontro e confronto partecipato, affermare un sostanziale disinteresse verso le dinamiche che muovono i consessi istituzionali, nei quali si assumono decisioni fondamentali e strategiche per il percorso di affermazione di un Ateneo e dei suoi Dipartimenti».
In altri termini, il suo impegno sarà orientato all’aspetto didattico e formativo.
«Assolutamente sì. Devo dire, peraltro, di essere già stato abbondantemente ripagato da questa mia scelta e sono sicuro di poter ottenere anche altre soddisfazioni nel prossimo futuro. Il professore universitario, ma prima ancora il docente dovrebbe sentirsi gratificato del percorso di crescita dei propri allievi. Il mentore deve saper creare opportunità e deve propiziarne il matching con gli studenti più meritevoli. In questo momento, sono concentrato sul mio lavoro di professore, che ha a cuore la crescita e la formazione degli studenti, anche al di là dei banchi universitari. Ho la fortuna di poter apprezzare, quotidianamente, la crescita e i successi di un gruppo di miei giovani collaboratori, tutti laureati nel nostro Ateneo, che, con impegno, serietà e caparbietà, sta ottenendo importanti riconoscimenti, sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Un mio tesista ha conseguito il prestigioso premio “Donato Menichella” di Banca Italia, centrando, di fatto, un traguardo unico per un’università del meridione; altri miei collaboratori stanno completamento esperienze formative e corsi di dottorati, affermandosi in altre Università, vincendo, con gergo calcistico, anche “in trasferta”.Contro ogni pronostico degli addetti ai lavori, abbiamo creato una progettualità redazionale, “Diritto del Risparmio”, che, ormai, grazie a un certosino, convinto e appassionato lavoro quotidiano di aggiornamento e di scouting (di pronunciamenti, decisioni, novità normative, regolamentari, editoriali) rappresenta un punto di riferimento tra i professionisti e gli operatori del settore bancario, finanziario e assicurativo. Mi ritengo molto fortunato nell’aver incontrato giovani così meritevoli e desiderosi di affermazione, tramite lo studio e il lavoro. In fin dei conti, il nostro compito di docenti è quello di far incontrare il talento con le opportunità di poterlo dimostrare. Lo sosteneva Seneca qualche tempo addietro, lo ripropongo io quest’oggi».
Il Professore Fernando Greco, oltre a essere un convitato sazio dalla “politica accademica” e un docente evidentemente soddisfatto dalle sue leve, è anche un uomo delle Istituzioni extra-accademiche. Quanto i suoi recenti incarichi hanno influenzato la sua visione dell’Università?
«Anche in questo caso, possono reputarmi particolarmente grato e soddisfatto delle esperienze istituzionali delle quali mi son potuto giovare a livello esperienziale, professionale e, soprattutto, di crescita personale e umana. I recenti incarichi presso Banca d’Italia (Primo Vicepresidente del Collegio di Roma dell’Arbitro Bancario Finanziario, ndr) e presso il MEF (Componente della Commissione tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori, ndr)mi hanno portato a stare spesso lontano dal Salento. Lontananza che, pur tuttavia, ho cercato, nei limiti del possibile, di rendere solo geografica e non anche ideologica e di pensiero. Ho cercato di rendere proficua, anche accademicamente, il privilegio di poterpartecipare e presiedere consessi istituzionali particolarmente autorevoli; in un certo senso, mi sono sentito investito di un ruolo “diplomatico”, potendo portare il nostro Ateneo e la sua conoscibilità in alcune, importanti, sedi istituzionali, e, al tempo stesso, poter portare queste autorevoli location, per il tramite, chiaramente, di loro funzionari e rappresentanti, nelle aule del nostro Dipartimento e del nostro Ateneo. Sia la mia esperienza in ABF, che quella nella Commissione FIR, mi hanno destinato un congruo lascito di rapporti umani e professionali, fondati sulla reciproca stima, fiducia, visione comune degli impegni istituzionali e accademici. Elementi importanti per creare nuove opportunità, migliorare e ampliare l’offerta formativa».
Proprio a tale ultimo riguardo, lei è attualmente Direttore Scientifico del Master executive di II livello in “Banking, Financial and Insurance Law”. Una progettualità per certi aspetti avveniristica, in considerazione della tradizionale attribuzione di queste tematiche a contesti geografici differenti dal nostro.
«Inutile negare che, lo scorso anno, si sia trattato di una vera e propria scommessa, che ha potuto confidare, pur tuttavia, sull’adesione convinta del mio Dipartimento e, su tutti, del Direttore, Prof. Luigi Melica che ringrazio. A distanza di ormai qualche mese, però, posso affermare che abbiamo vinto: ce lo raccontano i feedback dei partecipanti e degli iscritti; ce lo raccontano gli endorsement delle Autorità di Vigilanza, delle Associazioni di categoria, degli accademici e dei professionisti, che hanno accettato con entusiasmo i nostri inviti e che hanno già manifestato l’intenzione di “ritornare” nella prossima edizione. Ce lo racconta, soprattutto, la scelta del Dipartimento di rinnovare, anche per la prossima annualità accademica, il nostro Master BFIL. Peraltro, come chiosa, vorrei segnalare che il prossimo 24 giugno, nell’Aula Magna della Corte d’Appello di Lecce, si terrà, in sinergia con la Formazione Decentrata della Scuola Superiore di Magistratura e con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati e della Fondazione “Vittorio Aymone”, un evento convegnistico, che ambisce a sintetizzare parte del percorso didattico fin qui sviluppato. Il fil rouge sarà la contrattualistica bancaria, finanziaria e assicurativa».
Ringraziandola per questa carrellata nel mondo accademico, tra lo stato dell’arte e la sua personale esperienza, quale è il suo auspicio e, al contempo, quale è il messaggio che si sente di poter rivolgere ai giovani?
«Di sicuro è uno dei momenti storici mediaticamente più difficili per fare proselitismo accademico. Nel carosello delle attuali notizie su concorsi e procedure di reclutamento, è opera francamente ardua accreditare l’entusiasmo dei giovani studiosi verso la carriera accademica. Posso, però, confidare e proporre la mia esperienza personale. Non è stato facile, per niente; non sono mancati, come per tutti, i momenti di difficoltà; l’importante, però, è essere tenacemente convinti delle proprie capacità e delle proprie scelte. Anche perché, il più delle volte, i migliori panorami si aprono alla vista dopo percorsi tortuosi e salite impervie. Per concludere, mi rifugio in una frase di Herman Hesse, un pensatore e scrittore che ho sempre amato, sin da ragazzo, proprio per la sua capacità di descrivere valori, idee, concetti. Una frase che, a mio giudizio, rappresenta un importante lascito morale, indirizzato specialmente ai giovani meritevoli, intenzionati a intraprendere percorsi formativi e professionali, che si rivelano, in qualche caso, poco premiali. “Contro le infamie della vita le armi migliori sono: la forza d’animo, la tenacia e la pazienza. La forza d’animo irrobustisce, la tenacia diverte e la pazienza dà pace”. Quello di Hesse e il mio è un invito a non desistere, a credere, con fiducia, in se stessi, senza accettare condizionamenti. Step by step, come sono solito ripetere ai miei più fidati collaboratori».