La quasi totalità dei commentatori, dopo la partita di Bologna, ha parlato di un Lecce senz’anima. Ma poiché questa mancanza si verifica con una certa frequenza, forse sarebbe opportuno mettersi a cercarla…
Nell’ultimo articolo che ho scritto, evocando una figura mitologica, ho paragonato il Lecce a Giano bifronte che, per alcuni, guardando sia davanti che dietro garantiva sempre una visione completa, per altri, invece, rappresentava i due aspetti contrapposti di uno stesso problema. Ecco allora la domanda: ma il Lecce vero quale è? Quello agile, elegante, spesso narcisista oppure quello svagato, indolente, deconcentrato? Il quesito dovrà risolverlo De Canio e non certamente noi, ma a noi è data la possibilità di fare una valutazione sul perché di queste prestazioni altalenanti, decisamente disastrose fuori casa.
Allora cerco di provarci. Il Lecce, nel giudizio di molti addetti alla comunicazione, mi sembra sia molto sopravvalutato; la squadra, inoltre, non mi sembra abbia né le caratteristiche né la voglia di lottare con il famoso “coltello fra i denti”, quasi che questa caratteristica salgariana, da pirati della Malesia, fosse considerata una “diminutio capitis”. Che il Lecce abbia una sovrastima rispetto alle sue effettive qualità lo si evince anche dalla lettura di qualche pezzo giornalistico nel quale si spiegava come, alla luce della valutazione tecnica dell’organico, non vi potesse essere partita data la schiacciante superiorità rispetto al Bologna. Siccome non stiamo parlando del Barcellona o del Real, mi sembra che questa valutazione sia eccessiva, a meno che non abbia avuto la pretesa di essere provocatoria. Allo stato degli atti, ammesso pure che si fosse arrivati al 90^ senza guai, non si sarebbe andati oltre il pareggio, quindi questa netta superiorità sarebbe stata soltanto teorica.
La partita, invece, ci ha detto che, dinnanzi ad una squadra per niente trascendentale, si è stati in grado di impensierirla soltanto una volta, con il colpo di testa di Munari, e si è giocato aspettando sempre l’occasione buona che, purtroppo, non è mai arrivata. Quando, però, al 60^ minuto è cominciata ad accendersi la spia che annunciava come il carburante, per molti centrocampisti e qualche “anziano”stesse per finire, ecco che Malesani, che non mi sembra un genio della panchina, mette in campo sia Ramirez sia Gimenez, elementi tecnici e molto veloci che, è vero che coprono poco, e con il Lecce in via di afflosciamento c’era poco da coprire, ma offendono molto, e la difesa del Lecce, non proprio da pigliare ad esempio di tenuta, forza, grinta ed attenzione, è ovvio che sarebbe stata messa in difficoltà; e così, nello spazio di un minuto a Bologna e di qualche minuto in più a Roma, sono arrivate le due reti che, vorrei precisare, non hanno solo come responsabile Gustavo, ma anche molti di quelli che gli giocano a fianco. Certo una disattenzione ci può anche stare ma se, per buoni 30^ cominci a giocare ad una porta, è ovvio che, prima o poi soccombi. Il tracollo non avviene perché non si ha l’anima, ma perché, nella zona nevralgica del campo, non ci sta il fiato. E’ anche ovvio che bisognerebbe insistere, negli allenamenti, più alla grinta che alle belle ed improduttive giocate.
Forse, come generazione, appartengo più ad un calcio pragmatico, specie per le squadre di terza fascia, che ad un calcio lezioso ma improduttivo. Mi auguro che si cerchino i correttivi e non ci si attacchi improvvidamente al fatto che Orsato, quando ci arbitra, non è fortunato. Come alibi non regge!
Adesso c’è un’Inter, al momento, a pezzi. Ma per quanto a pezzi ha giocatori che, tecnicamente, possono sempre fare la differenza. Occorre aggredirli, stancarli e, se il caso, colpirli; ma per far questo bisogna correre molto altrimenti la palla non si vede. Bisogna essere “umili” e considerare che abbiamo ancora te punti di margine sulle tre ultime; vediamo di non sprecarli!