L’Ermetismo si affermò lentamente nella poesia italiana a partire dai primi del Novecento. Tale movimento forma l’aspetto più maturo, ma anche più esasperato del Decadentismo.
Il Simbolismo, l’Estetismo, la filosofia del Bergson, avevano insegnato che la poesia è innanzitutto “illuminazione”, “intuizione”. Essa quindi non necessita della realtà, ma costituisce solamente l’aspetto più vero, più profondo della sensibilità interiore.
In altri termini, la poesia per essere tale, deve liberarsi dal reale ed impegnarsi tramite la scelta delle parole e dunque delle immagini e dei suoni che esse evocano, nell’esprimere l’universo interiore dell’artista.
La lirica, quindi, non necessita di descrizioni, significati compiuti, né di tante parole ed anzi, proprio per essere “poesia pura” deve comporsi di meno parole possibili, in modo da sottrarsi a qualsiasi tentazione di richiamare un’immagine reale e descrivere soprattutto e con la massima fedeltà le sensazioni più intime e vere del poeta.
Perciò, caratteristiche della “poesia pura”, poi detta pure ermetica per l’avarizia nell’uso delle parole e quindi per la chiusura e la difficoltà di percepirne i contenuti, sono la totale negazione della discorsività e lo spiccato autobiografismo.
La discorsività viene negata evidentemente per la scarsezza dei componimenti, i quali si caratterizzano da pochi vocaboli scelti principalmente tra quelli dotati di una maggiore poliedricità semantica, e per lo scardinamento dei classici schemi logici e stilistici: la poesia dovendo esprimere solo l’universo interiore del poeta non può che liberarsi da tutte le pastoie della tradizionale logica espressiva e linguistica.
L’autobiografismo, infine, è inevitabile: se la poesia, per esser “pura” deve solamente esprimere l’interiorità, le sensazioni personali, è chiaro che tale materiale intimo, psichico, il poeta non possa trarlo che dall’auscultazione di sé stesso.
Tra i maggiori esponenti della poesia ermetica italiana annoveriamo Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Vincenzo Cardarelli, Mario Luzi e particolarmente, Eugenio Montale che con un linguaggio scarno è in grado di esprimere nel modo più efficace il “male di vivere” dell’uomo contemporaneo di cui ricordiamo le raccolte poetiche intitolate Ossi di Seppia, Le occasioni e Satura.
Un po’ isolato e più legato alla tradizione è Umberto Saba che non anela a ricercatezze espressive ma canta con ricchezza di sfumature personali i vari aspetti della vita affettiva quotidiana.