Abbiamo intervistato Alessandro Montano in arte Nemesi. Electronic producer e performer. Ambient, drone, electro, dubstep, hip hop. Dj set. Musica applicata alle immagini. Installazioni multicanale. Artista audio-video.
Ciao Alessandro, quando hai iniziato a interessarti alla musica? Come sei approdato all’elettronica?
Ciao! Non ricordo esattamente quando ho cominciato a interessarmi alla musica. Credo che la musica faccia parte della nostra vita sin da quando siamo nel grembo materno. Sembra essere un istinto innato nell’uomo. Per citare Daniel J. Levitin, “l’elaborazione della musica è distribuita per tutto il cervello”. E’ un fatto scientifico. Naturale conseguenza è che tutti, ognuno a suo modo, siamo in grado di “capirla” o comunque di provare emozioni anche piuttosto intense legate a essa.
Per quanto mi riguarda, il “demone” ha cominciato a tormentarmi fin da bambino, ma si è manifestato in maniera più ossessiva all’inizio dell’adolescenza. All’epoca ero abbastanza attratto da diversi tipi d’espressione artistica, ma la musica l’ha sempre avuta vinta su tutte. Non sono il solo che non riuscirebbe a immaginare un film senza musica, o l’assenza di un sottofondo musicale calmo e tiepido a un’esposizione d’arte, o ancora di farsi la doccia senza lo stereo a palla. La musica mi è sempre sembrata un mezzo artistico estremamente potente e sostanzialmente “democratico”. Per dirla in una parola, una necessità.
L’essermi avvicinato all’elettronica per me è stato quasi fisiologico, essendo da sempre affascinato da quei timbri che in un certo periodo della mia vita mi sembravano strani, e non potevano essere riprodotti con chitarra basso e batteria, che poi sono gli strumenti più frequenti ai quali ci si avvicina. Ho cominciato circa sei o sette anni fa ad avvicinarmi al computer e ad esplorare le possibilità che quel tipo di macchina ti offre anche in senso musicale. Sono partito da programmini abbastanza “stupidi”, poi cominciai a smanettare con Reason. E iniziai a dover avere a che fare con una serie di nozioni non riuscivo tanto bene a gestire perché mi arrivavano in maniera disordinata e confusa. Cutoff? Resonance? Attack? LFO? Osc? Si, insomma, la confusione era questa. Sono partito da gruppetti rock, mi sono avvicinato al funk, all’hip hop, ho cantato, ho suonato la chitarra. Quindi trovarmi di fronte un sintetizzatore, per quanto virtuale, per quanto di struttura “poco complessa”, per me era una cosa completamente nuova e tra l’altro era un’esperienza che mi pareva di voler fare da solo. Ho avuto una certa difficoltà, inizialmente, a trovare gente interessata alla materia, così come avevo difficoltà a reperire informazioni sull’argomento. E quindi ho tagliato la testa al toro e sono andato a Roma a studiare appunto musica elettronica all’IITM, e lì mi si è aperto un mondo.
Quali artisti o idee hanno avuto maggiore influenza sul tuo lavoro, chi ti ha influenzato maggiormente come musicista?
La musica per me è sempre stata gioco… e colore. Nonostante un certo tipo di lucida sofferenza che caratterizza le mie composizioni e in generale i miei ascolti. Sono sempre stato eclettico in una maniera quasi imbarazzante. Onnivoro per certi aspetti, in maniera persino disorganizzata. E in un certo senso ho sempre invidiato il metallaro o l’hippoppettaro che sposano un genere e lo amano tendenzialmente per tanti anni, se non per tutta la vita.
Per me ascoltare i Jamiroquai fu destabilizzante. Così come il primo hip hop che arrivava in Italia (o per lo meno a me). Un nome a caso, Mc Hammer. Ma la vera svolta per quanto mi riguarda furono i Subsonica. Mi piacevano un casino. Così com’ero attratto dai RATM, o un po’ più tardi lo fui dai Moloko, Daft Punk, Fatboy Slim, o più recentemente Madlib. Ultimamente ho avuto una vera e propria “crisi ormonale” quando ho ascoltato i Justice o i Does it offend you, yeah? Mi limito a pochi nomi perché rischierebbe di diventare un delirio. Ho anche sempre provato anche una fortissima attrazione per la black music in generale, dal blues al jazz, dal funk al soul. Così come non riesco a non battere il piede se ascolto boogaloo.
E’ logico specificare che, a Roma, sono entrato in contatto con realtà diametralmente opposte a quelle citate prima. Ho scoperto il drone e un certo tipo di ambient. E l’avanguardia elettronica. Sicuramente l’influenza del mio prof. di sintesi del suono, Enrico Cosimi, è stata fondamentale. Chiaramente buona parte delle mie competenze e capacità sono dovute al corso che ho seguito, ma è chiaro che anche i miei gusti si sono notevolmente ampliati venendo in contatto con realtà di cui non immaginavo nemmeno l’esistenza. Sleeping concert, installazioni…tutti modi “diversi” di usare il mezzo musica, il suono, alle quali mi sono accostato da prima con una certa cautela, lo ammetto, per poi adorarne diversi aspetti.
Da dove nasce la tua ispirazione? Che cosa smuove il tuo spirito creativo?
Diverse cose. Ultimamente la mia ispirazione è di natura abbastanza intimista. E’ quasi banale dirlo, ma viviamo un periodo storico particolarmente complesso, non dico neanche crudele perché ho la convinzione che in fin dei conti l’umanità non se la sia mai passata gran che bene. Suppongo che il mio personalissimo punto di vista su tutto quello che mi succede intorno, tanto a livello macro quanto a livello micro, sia filtrato da esperienze personali, dalla mia psiche, dal mio subconscio. In sostanza dipende dallo stato d’animo con cui comincio a lavorare a un progetto. Non è raro che quello che esca fuori, ultimamente in misura nettamente maggiore, abbia un carattere piuttosto oscuro e sofferto.
Chiaramente dipende anche dal tipo di musica che voglio produrre, da quello che voglio dire o raccontare, in maniera più o meno lucida. Tra l’altro porto avanti più progetti proprio per la necessità che ho di utilizzare linguaggi diversi. L’essere umano è complesso, e gli stati d’animo sono una marea. Mi piacciono Wagner e i Justice, Manson e Darwin Deez, GIl Scott-Heron e i Kraftwerk. Non posso farci niente.
Ci vuoi parlare dei tuoi vari progetti?
Volentieri! Comincio con lo specificare che ho deciso di “splittarmi” in due figure diverse: Malcolm e Nemesi. Malcolm è quello che possiede un’attitudine più urbana, e che quindi oscilla tra electro, funk, hip hop e dj sets. Nemesi è il lato oscuro. Quello rarefatto, ma più “cattivo” o meglio amaro e disilluso.
Al momento, a parte questi due progetti, o pseudonimi, ne porto avanti altri tre. Con i Dorian Gray, (per ora è il nome della band, ma forse ci sarà una piccola modifica), mi occupo, chiaramente, della parte elettronica. E’ un progetto parecchio stimolante che vede alla voce Dorian, già vocalist degli Slut Garden, cover band di Marilyn Manson, e altri musicisti di livello della scena barese. Fondamentalmente sono l’elemento nuovo della formazione. Le premesse sono ottime e sono sicuro che proporremo musica di qualità. Al momento siamo alle prese con la stesura dei primi pezzi inediti e una o due sorprese. Per quanto riguarda il genere, posso definirlo scherzosamente: elettronica violenta con vocione cattivissimo e chitarroni distorti! Tutto fatto con un certo stile però, per citare lo stesso Dorian. E performance live che sicuramente saranno d’impatto notevole.
Altro progetto mi vede in collaborazione con un vocalist, Davide, il quale oltre ad essere un bravo cantante è anche ottimo chitarrista e pianista. Proponiamo una sorta di electro “come piace a me”, fortemente influenzato da funk e hip hop. Suoni acidi e beat robusti. Stiamo sostanzialmente lavorando ai testi, in inglese, poiché più o meno le basi sono pronte. In questo progetto dovrebbe trovare spazio un feat. con Shine, una female rapper che ha secondo me un sacco di stile. Sicuramente ci sarà la presenza dello stesso Dorian in almeno una traccia. Al momento non ci siamo ancora dati un nome e siamo un duo, ma potrebbero esserci modifiche anche in questo senso e sicuramente usciremo a breve con un primo pezzo che anticiperà un ep autoprodotto.
Last but not least, un altro duo, Pearlspeak. Io sempre alle produzioni e un altro vocalist, Gianluca, che, assicuro, ha una voce allucinante e una tecnica invidiabile. Il tutto per atmosfere abbastanza sognanti su beat di natura pressoché urbana. Anche qui, proporremo a breve una prima traccia cui sicuramente ne seguiranno altre. Si è deciso per il momento di adottare l’inglese anche per questo progetto. Sarà che ci piace Londra…
Con lo pseudonimo di Nemesi in cui proponi musica ambient e drone sporcata da ritmiche dubstep, è da poco stato rilasciato il tuo Ep da Quantum-Bit Netlabel, quanto hai lavorato a questo progetto?
Con Nemesi mi do la possibilità di parlare con un linguaggio musicale diverso che passa per l’ambient, il drone, le installazioni. L’interazione audio-video. Ho deciso di sporcare qua e là le produzioni con ritmiche dubstep, per la precisione strizzando l’occhio alle varie “skull disco”, con lievi accenni alla techno Detroit, data la mia atavica ossessione per i ritmi ipnotici e artificiali, e per mantenere un minimo comune denominatore tra i miei due alter ego, riuscendo ad impastare Nemesi con concetti di matrice urbana.
Le tracce dell’ep sono state concepite e prodotte tra Roma e Bari, in pratica da aprile scorso fino a questo novembre. Ma con molta lentezza. Mi ci sono dedicato in fasi diverse. L’idea di Nemesi mi è venuta appunto tra aprile e maggio, e l’ep è stato realizzato in un periodo parecchio confuso e delirante a livello personale. Credo sia evidente la buona dose di nervosismo e ansia che scorrono insieme alle tracce. In sostanza il tema è questo: le miserie umane. In questo caso le mie, ma non solo. Fantasmi e frustrazioni. Partono dal desiderio, attraversano un periodo in cui il desiderio diventa ipnosi, ciclico, sinusoidale appunto, poi ci si scontra con la realtà e con la natura animale che fa parte del tuo essere umano. Infine resta l’odio. L’incomprensione. L’egoismo. L’incomunicabilità, anche perché in realtà spesso non ci si vuole capire affatto. Leggendo i titoli delle tracce (e mi auguro di certo anche ascoltandolo) ci si rende conto dell’iter che prende l’ep, intitolato appunto, e semplicemente, Nemesi ep. E la nemesi è qui intesa sia col significato di “castigo” che con quello di “nemico”.
Per quanto riguarda l’ep approfitto per ringraziare un mio collega di corso, Fabio. Sono suoi la ciotola tibetana e il dark energy che ho campionato per realizzare la prima traccia; e vorrei ringraziare anche Quantum-Bit Netlabel e Jaeck the Bit per averlo rilasciato. Tra l’altro con la Quantum-Bit sembra essere in cantiere un’altra cosina.
La tua musica è quasi completamente strumentale. Non ti manca mai la dimensione verbale , parole, voce..? In ambito elettronico, come intendi una tua “poetica” della voce umana?
Ci sono cose che le parole hanno già provato a spiegare. Allora cerchi un linguaggio diverso. Una sensazione. Tu lasci che il suono scorra in una certa maniera, e lasci la totale libertà, senza nessuna presunzione, all’ascoltatore, mettendolo in condizione di poter provare emozioni tutte sue e completamente nuove rispetto alla composizione. In realtà ho cominciato a rinunciare ai testi con Nemesi, proprio per avere la possibilità poter dire qualcosa senza fiatare. Lo trovo affascinante. Come fosse provare a urlare senza emettere neanche il più timido sibilo. E poi la voce umana può sempre trovare collocazione. Per quanto mi riguarda, l’unica regola è che non ci sono regole. Scegliere di esprimersi attraverso un modo di fare musica così etereo ti dà la possibilità di partire e arrivare a punti diversi, reinventando sempre tutto; e di lasciare che l’unica cosa importante sia la sensazione fisica o mentale che un suono possa suscitare in chi lo “sente”.
Tra le tue varie esperienze e collaborazioni, quali ricordi con soddisfazione?
E’ stato divertentissimo suonare a Milano alla Festa della Musica con Enrico Cosimi sul palco del Carroponte. Ho avuto anche l’onore di avere un ospite come Bobby Soul, ex voce dei Blindosbarra, nella traccia “Fasi”, uscita sulla prima compilation “Funk in Italy” per il M.E.I. con la mia ex band, i Mo’sista, contesto in cui ricoprivo il duplice ruolo di vocalist e producer.
Senza dubbio mi ha dato una certa soddisfazione una serie di commenti positivi, spontanei e piacevolmente sorpresi, che seguirono l’uscita della traccia autoprodotta “Nero”, in featuring con Lady B, grazie alla quale posso affermare che sia venuto fuori un bel pezzo.
Secondo te la sperimentazione elettronica e digitale, è la strada imboccata dalla musica nella sua evoluzione?
Personalmente sono convinto che la ricerca oggi vada in direzione del timbro. In più aggiungo che sperimentazione va bene, ma che probabilmente è un termine da alcuni abusato. Non è questo il caso chiaramente. Prendiamo ad esempio la musica dodecafonica da un lato o la musica concreta dall’altro. Non so quanto possa essere corretto parlare di sperimentazione se decidi di suonare un cluster o se te ne vai col registratore a riprendere audio in stazione e poi lo monti sulla tua canzone. Nel 1965 Alvin Lucier è stato in grado di suonare le onde alpha del suo cervello, quindi…
Per quanto mi riguarda, cerco si di stupire, ma più che altro mi preoccupo del gusto con cui faccio le mie cose, diversissime tra loro, e di prendere scelte stilistiche coerenti con le mie intenzioni.
La tecnologia è un mezzo. La tecnica è un mezzo. Quello che le macchine da sole non possono sostituire sono il gusto e la creatività. E senza dubbio l’umanità.
Hai un particolare progetto ideale e concettuale cui arrivare come massima aspirazione? Avendo ogni mezzo possibile dalla tua, cosa faresti? Insomma, il tuo sogno nel cassetto e il massimo ideale artistico da perseguire?
La libertà di poter fare quello che voglio impegnandoci tutto il tempo che posso. Ho talmente tanti sogni che il cassetto ormai non si chiude più. Mi starebbe più che bene avere uno studio tutto mio dotato di certe macchine, continuare a lavorare a progetti diversi e con persone diverse. E che la musica possa diventare definitivamente una professione, in qualunque forma. D’altronde, ho il sospetto che non riuscirei davvero a fare altro senza esserne perennemente distratto. E’ colpa del demone.
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