Funzionario dei Servizi segreti Pietro Antonio Colazzo aveva 48 anni quando venne ucciso il 26 febbraio 2010, esattamente un anno fa. Quel giorno un gruppo di terroristi seminò la morte in un albergo e in due guest house di Kabul e se il bilancio dell’attacco non fu ancora più grave – 16 le vittime – lo si deve proprio allo 007 italiano che riuscì a fornire alla polizia, al telefono, informazioni preziose.
Oggi il sacrificio di Colazzo è stato ricordato a Roma nel corso di una cerimonia a Forte Braschi, il quartier generale dell’Aise, durante la quale – alla presenza del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dei direttori dei Servizi, Gianni De Gennaro (Dis), Giorgio Piccirillo (Aisi) e Adriano Santini (Aise) – è stata consegnata ai familiari la Croce d’onore alla memoria. Con questa motivazione: ”Funzionario dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, operante nell’ambito di una struttura informativa a supporto dei comandi militari nazionali e multinazionali ed a salvaguardia degli interessi italiani in Afghanistan, nel corso di un attacco terroristico veniva raggiunto da fuoco nemico e dall’onda d’urto di una potentissima esplosione, nonostante fosse oggetto del fuoco dei terroristi, non desisteva dalla sua azione, fornendo preziose indicazioni alle forze di sicurezza afghane in procinto di intervenire, incrementandone l’efficacia e consentendo di salvare numerose vite umane. Chiaro esempio di sereno coraggio, elevatissima professionalità, altissimo senso del dovere e spirito di sacrificio”.
Tra i familiari presenti alla cerimonia la sorella Stefania, cui Colazzo era legatissimo, la moglie (da cui era separato), i figli Alessandro e Federica, di 5 e 7 anni, altri parenti e l’ex commissario prefettizio di Galatina, la città del Salento di cui lo 007 era originario e dove tornava appena poteva. Entrato nel Sismi (il servizio segreto militare, poi diventato Aise) il 9 aprile 2003, Colazzo non proveniva dai ranghi delle forze armate, ma era un civile, con una laurea in Lingua e letteratura araba conseguita con il massimo dei voti a Torino e una grande passione per l’Afghanistan in particolare, di cui era un grande conoscitore e parlava i dialetti. Subito dopo l’attentato fu la polizia afgana la prima a rendere onore a questo funzionario dei Servizi italiani, che ormai da tempo viveva in quel mondo di ombre e di specchi che è l’intelligence in un paese complesso come l’Afghanistan. ”Un uomo coraggioso”, disse il capo della polizia di Kabul.