Spesso ci meravigliamo e restiamo sconvolti da comportamenti di altri popoli o culture, a nostro avviso assurdi ed ingiusti, senza tener conto del fatto che, sino a non tantissimi decenni or sono, essi erano la norma anche da noi. Mi spiego meglio.
Oggi, ai nostri occhi di occidentali evoluti e post sessantottini, risulta giustamente inaccettabile l’idea che una bambina non ancora in età puberale, possa essere data in sposa ad un uomo, eppure tale usanza non era estranea ai costumi dei nostri avi, sino a non molte generazioni or sono, specialmente se il matrimonio aveva una valenza di carattere patrimoniale. Qualcuno penserà che forse il sottoscritto ha intenzione di darsi alla consulenza matrimoniale, considerato il numero di articoli dedicati all’argomento, tuttavia lo tranquillizzo subito, assicurandolo che presto ritornerò a parlare di guerra. Veniamo adesso all’episodio di questa settimana così come lo raccontava mia nonna, per sentito dire anche lei dal momento che all’epoca mancavano diversi decenni alla sua nascita.
Lui si chiama Giovanni Battista, è nato nel 1801 e per la precisione è il nonno della mia bisnonna. È un giudice ed il suo ritratto in toga e col codice in mano campeggia ancora oggi nel salone della casa di mio zio. Ricordo che da bambini ci divertivamo a guardare quell’inquietante quadro che sembrava seguirci con lo sguardo dovunque fossimo. Potete farvene un’idea guardando l’immagine allegata. Allora, nonno Giovan Battista aveva convolato a giuste nozze in età abbastanza avanzata per l’epoca, qualche anno prima dei suoi 50 anni, con nonna Adelaide che aveva una ventina di anni di meno, e con la quale aveva perpetuato la specie e la famiglia con una discreta sfilza di figli, per la verità solo quattro tra cui il mio trisavolo primo dei maschi, e figlie in maggioranza. Il maggior numero di figlie può essere scientificamente dal fatto che l’età avanzata dell’uomo, porta ad una diminuzione del numero degli spermatozoi portatori dei geni maschili a vantaggio di quelli portatori dei gemi femminili di solito più lenti. Comunque, dal momento che questo e un articolo per corrieresalentino.it e non un trattato di genetica, ritorno alla narrazione dei fatti. Fra le sorelle del mio trisavolo c’era anche zia Clementina. Non l’ho mai conosciuta, primo perché i nostri compleanni cadevano ad una distanza superiore al secolo, in secondo luogo perché dopo le sue nozze si stabilì a Foggia , tuttavia per noi è sempre stata zia Clementina e questa cosa mi sembra anche giusta, dal momento che eravamo stati educati a chiamare zio o zia tutti i possibili amici ed amiche nonché amici degli amici e delle amiche, quindi era palese che la zia della nostra bisnonna avesse questo titolo parentale riconosciuto. Allora, la suddetta zia Clementina era ancora una bambina di 7 o 8 anni quando una bella mattina di non so quale stagione, mentre era intenta giocare con le sue bambole, d’improvviso irruppe il padre nella stanza, accompagnato da un uomo oltre la ventina.
– “Clementina” – chiamò il padre, costringendola a voltarsi. Poi continuando:
– “Questo signor sarà tuo marito.” –
La bambina guardò un attimo il futuro sposo quindi ritornò a giocare con le bambole, magari con lo scopo di allenarsi a fare la mamma dal momento che, ormai, non correva più il rischio di rimanere zitella, e questo per l’epoca era già un grosso vantaggio per una donna. Esisteva certo il problema per lo sposo di prendere a scatola chiusa una potenziale bruttona, ma questo forse non fu il caso visto che, giunta all’età consona per la celebrazione e la consumazione delle nozze, coronò il sogno del padre e divenne madre di tanti bimbi e bimbe che, ahimè, anche loro crebbero si moltiplicarono ed alla fine dipartirono.
Un matrimonio riuscito, dunque. Sorge un dubbio però: considerato che all’epoca tali decisioni venivano imposte dall’esterno, eppure duravano nel tempo, mentre oggi che abbiamo prelazione di scelta ed anche di sperimentazione prematrimoniale, assistiamo ad una diffusa e comune incompatibilità di coppia che comporta sempre una separazione in tempi più o meno brevi, erano loro ad essere sbagliati oppure lo siamo noi?
Cosimo Enrico Marseglia