“Nuovi media, vecchi giornalisti” è il titolo dato all’incontro di ieri a Lecce da Pino Bruno, giornalista Rai. I periodici approfondimenti organizzati dai rappresentanti locali dell’Ordine dei giornalisti di Puglia, Pierpaolo Lala e Daniela Pastore, analizzano il complicato mondo dell’informazione del terzo millennio e, nel caso di ieri, dell’era digitale
“I giornalisti non stanno al passo con i tempi”, è stata la prima lapidaria dichiarazione di Pino Bruno. “Il giornalista è un conservatore mentre i mezzi di comunicazione sono progressisti, ad ogni nuovo mezzo tecnologico c’è una resistenza corporativa da parte dell’operatore dell’informazione quasi come se temesse di essere “espugnato”. Ci sarebbe da obiettare che le tecnologie cambiano con una rapidità tale da non permettere l’adattamento, la coesistenza armoniosa tra uomo e macchina, sia pur consapevoli del valido supporto che essa stessa offre, ma c’è una grande verità nell’affermazione di Pino Bruno. Ancora oggi, nonostante la diffusione planetaria, si tenta di resistere ai social network e ai nuovi mezzi come tablet e smart phone. Eppure, sono i mezzi e i canali attraverso i quali è possibile diventare i “cittadini onorari” del cyberspazio, quel non luogo che mette in contatto il mondo intero in ogni momento, attraverso una rete in cui sono veicolate informazioni di ogni sorta.
Certo, le fonti aumentano, sfidando le abilità percettive del giornalista. Con maggiori canali di comunicazione, infatti, aumenta il flusso delle informazioni e proprio in questo nuovo sistema il buon comunicatore, secondo Bruno, deve saper scegliere, vagliare, avere la correttezza deontologica di smistare le informazioni giuste da quelle sbagliate e filtrarle attraverso la verifica del confronto e del controllo incrociato. Il lavoro del giornalista non diminuisce ma cambia, diventa “glocale” per usare un termine di Bauman: mentre si occupa del locale può dare uno sguardo al globale e sapere in tempo reale cosa succede dall’altra parte del mondo. L’era postmoderna impone la poliedricità, dunque, la capacità di interagire con tutti i mezzi e passare, dal “giornalismo con i tacchi” al “giornalismo con i tasti”.
I repentini cambiamenti, comunque, rendono difficile qualsiasi analisi soprattutto nel lungo periodo. L’unica certezza è che il flusso di informazioni passerà sempre più attraverso i social network. Il giornalista viene messo in discussione, Facebook o Twitter, notoriamente mezzi di svago, scardinano il meccanismo dell’unilateralità e permettono l’interazione tra chi scrive e chi legge; si può misurare il gradimento del lavoro del giornalista attraverso il numero di contatti o addirittura con i commenti che i lettori postano. L’uso dei social network e l’aumento dei lettori sul web,favoriscono anche lo sviluppo di giornali on line che nulla hanno da invidiare al cartaceo ma che anzi inducono le redazioni tradizionali a sviluppare una forma multimediale.
Non tutti gli operatori dell’informazione colgono le sfide che i nuovi media offrono. Molti ne sono infastiditi, preferiscono la comunicazione classica simile al broadcast televisivo, da un trasmittente a tanti riceventi senza possibilità di interazione.
L’Italia inoltre, penalizza il mondo virtuale dando spazio alle tv al posto della banda larga, che se pur ammodernate con il digitale terrestre, restano mezzi di comunicazione vecchi e poco democratici. I giovani che si accostano a questo affascinante quanto difficile mestiere, più che le sfide della multimedialità devono fronteggiare quelle della la crisi economica che penalizza l’editoria e trasforma gli editori in “padroni”, in attesa di regolamentazioni e maggiori tutele dell’Ordine o del sindacato.