Costituzione delle parti civili e rinvio al 17 novembre prossimo per un difetto di notifica riguardante tre imputati: si e’ consumata cosi’, dinanzi alla Corte di Assise di Lecce, la prima udienza del processo per la morte di Simone Renda, bancario leccese di 34 anni, morto dopo un malore il 3 marzo 2007 nel carcere di Playa del Carmen, in Messico, paese nel quale era in vacanza.
Alla sbarra ci sono otto messicani tra giudice, poliziotti e guardie carcerarie, accusati di concorso in omicidio volontario in violazione dell’articolo 1 della Convenzione Onu di New York del 1988, per aver causato la morte di Renda sottoponendolo a trattamenti crudeli, inumani e degradanti per punirlo di una presunta infrazione amministrativa che in realta’ non aveva commesso. E’ il primo processo in Italia per omicidio basato sulla violazione della Convenzione di New York. Nell’udienza odierna si sono costituiti parte civile contro il governo messicano, attraverso gli avvocati Pasquale Corleto e Fabio Valenti del foro di Lecce, la madre della vittima, Cecilia Greco, e il fratellastro Gaetano Renda (nato dal secondo matrimonio del padre del bancario). Nell’inverno del 2007 Simone Renda era in Messico per una vacanza dalla quale sarebbe dovuto tornare il primo marzo. Proprio quel giorno, mentre preparava in albergo le valigie, il bancario ebbe un malore ma l’impiegata della reception, invece di far arrivare un’ambulanza, chiamo’ la polizia. Da quel momento accaddero numerose stranezze. Renda venne portato via per una presunta violazione amministrativa, cioe’ l’aver tenuto un comportamento osceno per essere uscito nudo in strada. In realta’ il bancario sarebbe uscito dalla stanza in mutande perche’ in stato confusionale dopo il malore e chiedendo aiuto. Renda venne condotto in breve tempo in carcere. Qui un medico lo visito’ diagnosticando un principio d’infarto e disponendo accertamenti immediati in un ospedale, dove pero’ Renda non arrivo’ mai. Il bancario venne lasciato in una cella d’isolamento, pare senz’acqua ne’ cibo, e fu trovato morto la mattina del 3 marzo, due giorni dopo l’arresto. Diagnosi: insufficienza epatica derivante da disidratazione. Un processo-farsa in Messico si risolse in un nulla di fatto. In Italia inizialmente la Procura di Lecce aveva chiesto l’ archiviazione del caso, ma i legali della famiglia Renda si opposero e il gup del Tribunale accolse la tesi della violazione della Convenzione di New York. L’assenso del ministero della Giustizia affinche’ il processo si celebrasse nel Paese della vittima dei presunti soprusi dette il definitivo via libera. Sul banco degli imputati (oggi tutti assenti) sono chiamati il giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzalez, gli agenti della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen Francisco Javier Sosa Frias e Jose’ Alfredo Martinez Gomez, il responsabile dell’ufficio ricezione del carcere della stessa localita’, Gomez Cruz, i vice direttori del carcere municipale Pedro May Balam e Arceno Parra Cano e le guardie carcerarie Luis Alberto Arcos Landeros e Najera Sanchez Enrique. Ciascuno di loro avrebbe contribuito, col proprio comportamento, a far morire Simone, la cui famiglia da quattro anni reclama giustizia.