Le nostre spiagge, oramai disertate dai bagnanti, sono invase da strane pallottole marroni. Quanti di noi le ha raccolte dalla sabbia per osservarle e chiedersi cosa fossero?
Persino Aristotele, notando in loro una certa somiglianza con le ghiande, pensò che sui fondali del Mediterraneo crescessero foreste di querce marine. Si sbagliò, ma di poco. Le pallottole in un certo senso sono frutti ormai privi di semi. A produrle, però, sono le distese praterie di “Posidonia oceanica”, ondeggianti intrecci di lunghe e sottili foglie verdi. Il suo nome non è esatto, perché chi la descrisse per la prima volta forse pensava che potesse colonizzare anche gli oceani e, invece, è presente solo qui, nel Mediterraneo, oltrepassando di poco lo stretto di Gibilterra. Anche se il suo aspetto la rende simile ad un’alga, e come tale spesso la si riconosce, è una pianta a tutti gli effetti, con radici, fusto, foglie e frutti. La posidonia ha compiuto un singolare percorso evolutivo che dalla terraferma l’ha portata a vivere nel mare, svolgendo qui un ruolo molto importante. In essa, infatti, prosperano tantissime creature che possono trovarvi anche nutrimento e riparo; libera in acqua una gran quantità di ossigeno e consolida il fondo sabbioso, su cui cresce, evitando che lo stesso venga smosso dalla corrente. Le onde, inoltre, se non incontrassero le naturali barriere costituite dalle sue praterie andrebbero a sbattere violentemente con la riva, portandosi indietro la sabbia. Quello che purtroppo avviene lungo le nostre coste, già particolarmente soggette ad erosione, dove le scorse mareggiate hanno “inghiottito” interi tratti di spiaggia. A farne le spese, sono soprattutto gli stabilimenti balneari che già da qualche tempo si sono arrangiati per contrastare il progressivo arretramento della battigia, con risultati evidentemente scarsi. La natura è un equilibrio delicato e complesso, e alle conseguenze di un ecosistema minacciato non si può certo rimediare con alcuni sacchi di sabbia accatastati l’uno sull’altro. Non è possibile. Ed ecco che anche la posidonia, in forte regressione in tutto l’Adriatico, vittima in parte del peggiore insulto che l’uomo possa fare all’ambiente, l’inquinamento, diviene protagonista, finalmente, del primo sistema di coltivazione in laboratorio, presentato a Bari lo scorso lunedì. Grazie al lavoro congiunto di Università del Salento, Università di Tor Vergata in Roma e consulenti privati, il progetto, unico al mondo, nasce a Brindisi e sempre qui, in un centro attrezzato con un’enorme vasca, è stato possibile riprodurre artificialmente le piante su vasta scala. Le stesse potranno, poi, ricoprire quei tratti di fondale che più di altri hanno “sofferto” l’attività dell’uomo. Con questa non ci si riferisce tanto alle reti a strascico, che agiscono più a largo, quanto agli ancoraggi, alla costruzione di elettrodotti, gasdotti e darsene, nonché all’inquinamento diretto del mare dovuto sempre più spesso alla nostra poca educazione. Fatti, questi, che avvengono non di rado entro le poche decine di metri dalla costa, proprio dove la “Posidonia oceanica” cresce e vive. Ridare alla natura quello che le è stato tolto, dunque, potrebbe rivelarsi l’unica carta vincente per contrastare i fenomeni erosivi. Occorre, però, tutelare maggiormente le preziose praterie naturali: il mare, le coste, persino noi stessi ne abbiamo un forte bisogno.