Non è un mistero quello che sta accadendo in queste ore a Taranto: caos, paura, disagi … l’ILVA chiuderà? Il sequestro degli impianti a caldo è solo l’inizio?
Credo sia legittimo porsi questi ed altri quesiti.
Quella che è stata presa, è una decisione che è nell’aria da anni, anche se la colpa totale dell’inquinamento a Taranto, come altrove, non può essere assegnata ad un unico capro espiatorio.
Non dimentichiamo altri odori, boati nella notte e non dimentichiamo anche la nostra responsabilità, quella di cittadini, che reclamano la salute, ma spesso, anche nei più piccoli atteggiamenti, danneggiano quella propria ed altrui, per capriccio, per incoscienza, egoismo, indolenza, ma non neghiamolo: lo facciamo! Siamo tutti colpevoli dell’inquinamento.
Le dimensioni sono diverse, ed è vero: l’ILVA ha sulla coscienza danni all’ambiente, alla salute, al territorio, alle persone, morti.
È anche, però, una grossa industria, una di quelle sui si regge non solo Taranto, ma anche la provincia ed anche famiglie del territorio pugliese, che lavorano qui.
Chi ha approvato la venuta dell’ex ITALSIDER a Taranto, lo ha fatto forse proprio per creare lavoro e sviluppo, magari non ha minimamente immaginato cosa sarebbe accaduto qualche anno dopo.
Un intero quartiere, i Tamburi, ne ha fatto per primo le spese, ma anche i quartieri periferici non ne sono esenti, le nostre acque, la mitilicoltura, i bambini, i nonni, tante, ma tante persone.
Persone che ne sosterranno le spese ancora oggi, in primis chi lì dentro ci lavora, perché vi posso garantire che l’odore non è per niente gradevole, è un lavoro rischioso, ed è pesante, a livello fisico è molto stressante. Non tutti reggono in acciaieria per esempio.
Un modo per evitare tutto questo ci sarebbe stato (anche se, più che pensare a ciò che è stato, dovremmo oggettivare il presente, il “Qui ed ora”): prevedere delle misure per ridurre l’inquinamento, per le quali, stando a quanto si sostiene, i finanziamenti sono stati erogati, ma non opportunamente utilizzati. Questo, però, lo possono chiarire con precisione i diretti interessati, coinvolti nella questione.
Per quello che ricordo, posso dire solo che si era proceduto alla riduzione dei livelli di diossina emessa, che erano stati misurati e pareva si fossero abbassati, forse in misura non sufficiente se le conseguenze sono note e vive ancora oggi.
I lavoratori, al quale va il mio plauso per la protesta pacifista, sono stati costretti ad “alzare la voce”, perché, giustamente, vedono messi a rischio la salute e il lavoro.
Tuttavia, prima di proseguire, devo proprio dire una piccola cosa che ho notato oggi: il sindaco lasciatelo parlare e ascoltate le risposte che vi dà, invece di parlargli sopra o di assumere un atteggiamento un po’ sopra i toni. Dialogateci, perché non è una persona indisponente o poco disponibile, anzi! E non scrive le “Letterine di Babbo Natale”, come oggi ho sentito dire in televisione da parte di un lavoratore. Ci si può confrontare senza offendere e senza mancare di rispetto, che è poi quello che si chiede anche in questa protesta: il rispetto per il proprio lavoro, per la salute e per i propri diritti.
Riprendendo il discorso di prima, certamente non si può scegliere tra le due opzioni: o salute, o lavoro. Le due, possono e devono coesistere. Diversamente, l’effetto sarebbe quello “Domino”: abbattuta la tessera principale, cadrebbero tutte le altre.
Mi spiego meglio: si blocca l’acciaieria, che è assurdo anche solo pensare spegnere in un giorno. La produzione diminuisce. Se è così, si riduce il lavoro negli altri reparti, le commesse non possono essere esaurite e le ripercussioni si hanno su tutte le sedi lavorative della stessa azienda.
A fronte di minori ricavi e guadagni, bisogna ridurre le spese, anche quelle fisse e, tra queste, quella del personale.
Anche per le aziende dell’indotto si verificherebbe la stessa situazione.
I costi sarebbero ingenti per tutti. Non finisce qui.
Se le famiglie perdono il lavoro, scende anche il loro potere d’acquisto, ed essendo la maggioranza, anche gli altri settori, ben presto, ne risentirebbero. Anche le tasse più alte, le aliquote IRPEF … se non abbiamo il lavoro, con cosa le paghiamo? E a maggior ragione, pagare più degli altri? Anche volendo, come potremmo farlo?
Allora, che fare? La morale? No!
Proponiamo, collaboriamo! Anche a costo di dire assurdità, di sembrare banali, ma mettiamo insieme le idee. Qualcosa di buono ne può venire fuori.
Innanzitutto: visto che i finanziamenti sono stati a suo tempo erogati, sono certa che si sarà provveduto alla verifica del loro utilizzo e di quanta parte è stata adibita all’adeguamento del siderurgico alle norme ambientali, e quanta alla manutenzione degli impianti (qualcuno ricorda il crollo delle gru?).
Se ci sono somme da recuperare, sicuramente si procederà nella maniera opportuna, ed al loro uso per la salvaguardia della salute e dell’ambiente.
Certo, bisogna calcolare il costo dell’operazione. Aiuti, in termini di denaro, sentivo oggi al tg locale, ne sono già arrivati, e questa è un’ottima notizia. Vuol dire che possiamo partire con gli opportuni lavori.
Onestamente, non so, in termini burocratici, quanto ci voglia, ma noi siamo un caso della massima urgenza, senza voler passare davanti ad altre situazioni, di altri luoghi dell’Italia, criticissime.
Intanto, per ciò che concerne i lavoratori, si potrebbe procedere ai pensionamenti, anche anticipati ove occorra, in tutti i reparti. Questo, permetterebbe di mobilitare una parte dei lavoratori bloccati, mediante la ricollocazione nella stessa azienda.
La restante parte, potrebbe lavorare, opportunamente riqualificata e formata dai “Senior”, in subappalto presso le aziende che provvederanno, fisicamente, alla messa a norma e a nuovo regime degli impianti, in attesa di riprendere a pieno ritmo la produzione.
Se dovesse rimanere fuori ancora una parte di lavoratori, si utilizzerà l’outsorcing, con un occhio di riguardo alle situazioni personali, avendo cura di fornire anche quella serie di servizi, che permetteranno al lavoratore e alla sua famiglia di vivere normalmente, in attesa di rientrare in servizio nel precedente luogo lavorativo. Questo gli consentirà anche di compiere ulteriore esperienza e specializzarsi maggiormente, e a noi di non perdere il nostro patrimonio umano, ma di arricchirlo.
Chiudere, a mio parere, non converrebbe: quel terreno non sarebbe comunque utilizzabile per tanti anni. Che cosa ci dovremmo coltivare o costruire nell’immediato? Molto meglio che lavoro e ambiente vadano a braccetto.
E intanto, prevedere maggiori sbocchi per la viabilità non sarebbe male (credo se ne sia anche già discusso in passato), creerebbe, per di più, nuovi posti di lavoro: ad esempio, perché non prevedere delle idrovie ad energia solare? O degli eliporti, con scali opportuni e a norma? Sempre in zone in cui questo sia possibile.
Oggi, a causa dello sciopero, è quasi impossibile accedere a Taranto, ed è stato fatto allo scopo di far sentire la voce degli operai, ma cosa accadrebbe per altre evenienze? Perché concentrare la viabilità solo su strada?
Anche far crescere altri settori non sarebbe sbagliato. Alcuni suggerimenti ed alcune opinioni le avevo già espresse tempo fa, in un articolo intitolato “Il tesoro del sud: possibili investimenti e risorse”. Ci credo ancora e voglio aggiungere un’altra piccola cosa.
Qualche giorno fa, in tv ho sentito che in Taranto, al posto del San Raffaele, sorgerà un nuovo ospedale. L’ubicazione precisa è ancora da decidere.
Mi piacerebbe, però, che in questo nuovo presidio fosse prevista la presenza di tutti i reparti, forniti, ovviamente, di idonee attrezzature e personale adeguato, specializzato ed umano, in maniera tale da suddividere l’utenza per poter soccorrere adeguatamente tutti e non dover andare “Fuori”. Provvediamo qui ad offrire un’assistenza sanitaria completa ed orientata al paziente.
Così come vorrei che alcuni reparti chiusi al Moscati venissero riaperti e che l’ospedale fosse ampliato. Funziona bene, perché restringerlo o impedirgli di operare anche in campi di cui ci sarebbe bisogno, vista l’utenza e l’esubero di richieste al Santissima Annunziata e l’emergenza salute/lavoro?
Ciò che sicuramente può apportare maggiore beneficio, a mio parere, è una buona ripianificazione, che permetterebbe di utilizzare diversamente le risorse assegnate e ai pazienti di essere più sereni.
Ed anche questo, a fronte degli investimenti, creerebbe altri posti di lavoro; e non solo nel campo medico, ma in tutto l’indotto: sociale, commerciale, legale, amministrativo, assistenziale.
Non avremmo così una preponderanza del siderurgico e della metalmeccanica, ma uno sviluppo parallelo di altri sbocchi occupazionali e vitali.
Cerchiamo di voler bene a Taranto: una chance la merita.
Per i più superstiziosi, cito anche una curiosità.
Pare, da sapere popolare tramandatomi dai posteri, che sarà l’ultima città ad essere distrutta quando ci sarà la fine del mondo! Perciò, conserviamocela bene! Conviene a tutti!