C’erano per dire grazie alla magistratura. Ieri Mattina sono tornati in quell’incantevole angolo di Salento, a Porto Miggiano (Santa Cesarea), per testimoniare la forza delle loro idee, quelle che riescono a smuovere le coscienze perché animate da sentimenti sani, assolutamente condivisibili. Convinzioni supportate da evidenti anomalie e presunti abusi che duecento cittadini fra i quali alcuni artisti locali, hanno scandito dettagliatamente attraverso un esposto presentato in procura l’anno scorso. Non erano numerosissimi, ma la loro presenza e il loro entusiasmo amplificava notevolmente il gesto, carico di sentimenti di rivalsa verso chi ha consentito di cambiare il paesaggio di quel territorio. Una forza che deriva dalla consapevolezza di essere in tanti poiché sono decine di migliaia i sostenitori di questa battaglia ambientale.
“Chi vuole difendere l’immagine di Santa Cesarea”, sostiene uno dei presenti, “deve chiedere insieme a noi tutti, ai magistrati, di andare avanti, di allargare le inchieste, di estendere i sigilli, ma non per mero e inutile giustizialismo, ma perché si possa interrompere l’azione di violenza nei confronti di un territorio già irreparabilmente compromesso.
Avevano in mano stendardi e macchine fotografiche pronte ad immortalare quel cartello di sequestro apposto sulle transenne che impediscono l’accesso alla baia incriminata, quella in cui si sarebbero eseguiti lavori di risanamento della Falesia ma che in realtà avrebbero preso altre direzioni.
Come già noto, a far scattare i sigilli poco più di due settimane fa, un’ordinanza dei sostituti procuratori Elsa Valeria Mignone e Antonio Negro che hanno ipotizzato il reato lottizzazione abusiva su zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale, iscrivendo tre persone nel registro degli indagati. Una conclusione a cui si è giunti a seguito di accurati accertamenti da parte dei consulenti tecnici nominati dalla magistratura che hanno effettuato diversi sopralluoghi nell’ultimo periodo.
“Le opere marittime già realizzate – hanno scritto i consulenti – non sono classificabili come semplici opere di difesa della falesia dall’azione del moto ondoso, in quanto hanno anche l’evidente fine di creare una piattaforma ampia per lo stazionamento di persone e cose nell’ambito di attività balneari”.
Insomma il pericolo paventato dai cittadini ambientalisti era anche questo, unito al fatto che le succitate piattaforme, simili alle banchine di un porto, fossero state create ad uso e servizio delle due strutture turistiche sovrastanti: l’Augustus Resort e il Diciannove. Si tratta dell’unico intervento edilizio nell’area del “Parco naturale costiero Otranto-Santa Maria di Leuca”che “bypasserebbe” “oculatamente”, i vincoli in questione. Operazione che sarebbe stata inserita in un lavoro di risanamento e messa in sicurezza, finanziato da tre milioni di Euro di fondi CIPE.
Gli attivisti sono fiduciosi nel lavoro della magistratura e auspicano un percorso virtuoso che rispetti gli interessi di tutti, oltreché l’inserimento del sito nel suddetto parco naturalistico. Poi, la rimozione dei blocchi di cemento e dei detriti riversati in mare che fra l’altro hanno sancito la “scomparsa” della Grotta degli innamorati. Consentire dunque la fruibilità di un luogo che fino a qualche anno fa era accessibile a tutti.
Il cemento infatti non è solo una cicatrice che cambia il volto di un paesaggio ma porta con sé anche e soprattutto la privatizzazione di luoghi sottratti alla collettività.
Christian Petrelli