Situata in una delle zone più montuose dell’Umbria, quasi adagiata sul versante di un colle dalle aspre pendici, Cascia deve la sua importanza al santuario eretto in nome di Santa Rita, celebre meta di pellegrinaggio, luogo di densa e tagliente spiritualità.
Da Spoleto a Cascia, passando per Norcia, un percorso di meraviglie naturali che sembrano placare le inquietudini dell’animo, luoghi di sosta e di raccoglimento delle anime ‘assetate di Dio’.
Spoleto col suo patrono, San Ponziano, Norcia, città natale di San Benedetto, non molto più lontano c’è Assisi di Francesco e Chiara: e in tanta meraviglia si trova Roccaporena, ad un’altezza di 707 metri, all’estremità di una piccola gola, a 6 Km da Cascia, abitata da meno di 100 abitanti.
Qui, in questo piccolo e sconosciuto punto del mondo, è nata Santa Rita. Questo piccolo scrigno naturale custodisce gelosamente i ricordi della vita di questa grande donna della storia della Chiesa.
La figura di Santa Rita è di un fascino sconvolgente, tanto da risultare inspiegabile, talvolta, la sua universale popolarità. Difatti è una delle sante più popolari e amate in Italia e nel mondo. Basti pensare che il sondaggio di Datamedia sui santi e la religiosità degli italiani la colloca al secondo posto dopo sant’Antonio di Padova; tra i 50 link di ‘santi, beati e testimoni’ più visitati, Santa Rita da Cascia occupa il 6° posto, prima tra le altre donne sante.
Tantissimi sono gli scritti su santa Rita: storici, biografi, poeti o semplici ‘innamorati’ a prima vista, come in un colpo di fulmine, hanno raccontato di lei.
«Si pensa, spesso, che i santi abbiano le ali, che il loro habitat sia il cielo e che, sulla terra, vi passino posandovi appena i piedi. Si fanno di essi, degli extraterrestri, dei sacchi di virtù, come se fossero esserei inaccessibili, rinunciatari della vita e delle sue gioie», si legge in “Santa Rita da Cascia: la perla di Dio” di Lorenzo Calogiuri.
Tuttavia, per comprendere la reale portata, storica e spirituale, di un tale carisma occorre sgombrare la mente ‘dai terrestri ardori’, liberarla dalle false superstizioni, dagli inadeguati pietismi, dai sentimenti ‘ricamati’.
Ripercorriamone quindi la vita, in un intreccio di storia e leggenda. Non è facile tracciare un profilo storico di santa Rita. Ci sono molti punti oscuri e spesso le notizie non sono attendibili o verificabili, anche perché si racconta che i ‘libri di memorie’ vennero distrutti in un incendio nel monastero. Oltretutto santa Rita non ci ha lasciato scritti.
Di lei sappiamo che nacque nel 1381 a Roccaporena, frazione di Cascia. I genitori anziani, Antonio Lotti ed Amata Ferri erano considerati “pacieri di Cristo” (antenati dei moderni giudici di pace o conciliatori, per esempio) ed erano impegnati nelle lotte tra guelfi e ghibellini. Le venne dato il nome di Margherita, ma ben presto tutti la chiamarono Rita.
Fin da giovanissima, umile, obbediente e ben educata, si appassionò alla famiglia Agostiniana, San Giovanni, Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino, tanto da voler prendere i voti e frequentare il monastero Santa Maria Maddalena di Cascia e la chiesa di San Giovanni Battista. Ma i genitori, come d’usanza, a 13 anni la promisero in sposa a Paolo di Ferdinando Mancini, uomo violento, e dal matrimonio nacquero 2 bambini, forse gemelli: Giangiacomo Antonio e Paolo Maria.
Per lunghi anni subì la violenza e l’aggressività del marito, ma la sua eroica pazienza e capacità di sopportazione ‘resero possibile l’impossibile’, ossia la conversione del marito dopo diciotto lunghi e complicati anni. Il marito morì, tuttavia, di morte violenta: gli venne teso un agguato vicino al mulino di loro proprietà, presso il castello di Collegiacone, a metà strada tra Cascia e Roccaporena. Rita non serbò odio, anzi perdonò gli assassini e pregò anche per i suoi due figli che, come era costume del tempo, probabilmente, meditavano di vendicare il padre. I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente, forse di peste.
Abbandonata anche dai parenti del marito, Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena, a Cascia. Chiese per tre volte inutilmente il noviziato, che le venne rifiutato per ragioni non chiare; alcuni biografi affermano che probabilmente nel monastero vi erano monache congiunte degli assassini del marito che non la accettarono. Di fronte alle sue reiterate insistenze, le venne chiesto di riconciliare la famiglia dei Mancini con quelle degli assassini.
Secondo la tradizione agiografica furono i tre santi protettori, Sant’Agostino, San Giovanni Battista e San Nicola da Tolentino a portarla, in piena notte ‘in volo’ dal cosiddetto scoglio di Roccaporena dove si recava per pregare fin dentro le mura del monastero.
Il primo ‘miracolo’, quindi, riguardò se stessa: entrò a porte chiuse nella chiesa del monastero delle monache agostiniane di Santa Maria Maddalena. Quando al mattino presto le monache, come di solito, si recarono in coro per gli uffici divini, trovarono Rita in preghiera. Dinanzi a tale evento anche le monache più ostili si arresero.
«Nel monastero visse per quarant’anni alternando la preghiera e la contemplazione a visite a malati e lebbrosi, e cercando spesso di pacificare le fazioni che si combattevano nella cittadina umbra. Ma il cuore della sua giornata erano la preghiera e la meditazione della Passione di Cristo. Finché un giorno, mentre era in contemplazione estatica davanti al Crocefisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte e produrle una profonda piaga purulenta e fetida, costringendola ad una perenne segregazione: era il 1432. Soltanto in occasione di un pellegrinaggio a Roma per perorare la causa di canonizzazione di san Nicola da Tolentino ottenne che la ferita si rimarginasse temporaneamente. Ormai l’immedesimazione alla Croce di Cristo era totale, e in croce visse gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche e dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dalla pratica dei flagelli» (Cattabani Alfredo in ‘Santi d’Italia. Vita, leggende, iconografia, feste, patronati, culto’).
A santa Rita da Cascia viene associato un fiore, la rosa, divenuto simbolo della devozione a lei. Perché?
Si narra che ormai morente, espresse, ad una sua cugina che era andata a farle visita, un ultimo desiderio: una rosa dal giardino di Roccaporena. Era d’inverno. La cugina, incredula, pensava che delirasse, ma effettivamente trovò tra la neve la rosa rossa. Gliela portò e Rita tutta felice la regalò al suo Crocefisso.
E così la rosa divenne il simbolo per eccellenza di santa Rita, una donna che nonostante i tanti dolori e sofferenze, le spine, riuscì a sentire il profumo di Cristo, sciogliendo la neve gelida di tanti cuori.
Rita morì il 22 maggio del 1457. Alcuni studiosi tentano di spostarne la data dieci anni prima, vale a dire nel 1447, perché così si legge nella vita di santa Rita scritta dall’agostiniano Agostino Cavallucci da Foligno, pubblicata a Siena nel 1610. Dal punto di vista delle fonti letterarie non si possiede una biografia della santa antecedente a quella del Cavallucci, anche se si hanno notizie di una precedente, scritta da Giovanni Giorgio Amici nel 1552.
Si racconta che il giorno della sua morte venne avvistato uno sciame di api nere (dette murarie) nel convento che ancora oggi hanno dei nidi vicino all’albero di vite e che le campane suonarono ‘spontaneamente’.
Il primo miracolo da defunta avvenne al momento di celebrare le sue esequie. Un falegname, Cicco Barbari, da poco diventato invalido alle mani, non potendo più lavorare e vedendo la salma di Rita, disse: “Oh, se non fossi ‘struppiato’, la farei io questa cassa!”. Il falegname guarì immediatamente, e le suore lo incaricarono della costruzione della “cassa umile”.
Era alta circa 1 metro e 57 cm. Il viso, le mani e i piedi sono mummificati, il resto del corpo, coperto dall’abito agostiniano, è in forma di semplice scheletro. I suoi resti mortali sono custoditi a Cascia, all’interno della basilica a lei dedicata.
Rita da Cascia, donna piccola e semplice, è divenuta, nella storia delle famiglie, donna simbolo e portatrice di pace.
Si dice che ogni qualvolta Rita interceda per un miracolo il suo corpo emani profumo di rosa. È chiamata “Santa della Rosa” e “Santa della Spina”, dal popolo “Santa degli Impossibili”, considerati i tanti miracoli a lei attribuiti.
Fu proclamata beata, 180 anni dopo la sua morte, nel 1627 sotto il pontificato di Urbano VII e fu canonizzata da Leone XIII durante il Giubileo e precisamente il 24 maggio del 1900 .
Giovanni Paolo II di lei disse: «La Santa di Cascia appartiene alla grande schiera delle donne cristiane che “hanno avuto significativa incidenza sulla vita della Chiesa, come anche su quella della società” (Lett. ap. Mulieris dignitatem, 27). Rita ha bene interpretato il “genio femminile“: l’ha vissuto intensamente sia nella maternità fisica che in quella spirituale» (Udienza del 20 maggio 2000).
«Ogni stagione del mondo, attraversa una notte, e l’uomo sempre si sente, smarrito e bambino, sente bisogno di stelle, segni d’amore nel cielo, e il Signore le accende, nel cielo lassù» (cit. da Inno a Santa Rita).
Manuela Marzo