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Alcuni vorrebbero o ritengono giusto intitolare al povero Stefano Cucchi una via. Preoccupa che tra quelli favorevoli all’iniziativa, ci sia non solo il classico fricchettone radical chic, ma anche uno come Vittorio Sgarbi che di fatto ha messo, con l’irruenza che lo contraddistingue, sullo stesso piano Giovanni Falcone e i martiri d’Otranto e Stefano
Cucchi. Difatti, Sgarbi ha riferito che Cucchi “ è stato martirizzato nove anni fa”.
Mettere a confronto un uomo dello Stato come Giovanni Falcone ed il giovane Cucchi, serve proprio a comprendere la differenza ontologica che passa tra l’essere un martire ed essere una semplice vittima. Diversamente tutto sarebbe uguale, e quindi ingiusto. Sarà difficile spiegare ai nostri figli perché lo stato italiano intitola via e strade, a chi ha scelto la propria fine sacrificando la propria vita per un senso di giustizia e senso del dovere e a chi invece è vittima per un brutto e sfortunato caso. Spaventano le dichiarazioni di Falcone alla giornalista francese Marcelle Padovani. Ecco in Giovanni Falcone si vede l’eroe in vita ed il martire in morte. Ed è così che spesso questi due aggettivi viaggiano di pari passo. Perché si fa martire chi si rende testimone fino all’ultimo sacrificio di valori immortali.
Cucchi era uno spacciatore ed un assuntore di droghe. Certamente non meritava un solo ceffone per questo, ma rimaneva pur sempre uno spacciatore. E’ stato vittima senza alcun dubbio, ma il martirio impone una libera scelta, un atto di volontà da parte della vittima. Perché diciamo che gli 800 idruntini sono martiri? Perché hanno liberamente scelto la morte piuttosto che la convertirsione all’islam. Certamente sono state vittime, ma non tutte le vittime sono martiri. In questo modo si svuota di significato e si offende chi martire lo è veramente.
Cucchi non è un martire perché non ha certamente scelto di morire, non ha scelto di essere picchiato, ma soprattutto non l’ha scelto per difendere o testimoniare un credo religioso o un valore civile comunemente considerato universale. Lui non aveva nulla da difendere e rappresentare se non se stesso, a differenza dei martiri d’Otranto e di Giovanni Falcone che, pur essendo differenti tra loro, in quanto i primi incarnavano la difesa della cattolicità e quindi di un credo religioso, mentre il secondo ha dato la sua vita per senso del dovere nei confronti di uno Stato che l’ha abbandonato e forse anche tradito.
In questo disordine emotivo che vede gettati tutti in un unico calderone, si crea un profondo senso di ingiustizia. Sembra che la scelta di intitolare a Cucchi, così come in passato fu fatto per Giuliani, una via se non addirittura un’aula del Senato, lo si faccia non tanto per onorare delle vittime, piuttosto perché si vuole, quasi in modo autolesionistico, punire un’intera società per errori commessi da due carabinieri. Cucchi è stato prima la vittima della sua famiglia, perché probabilmente se avesse avuto più attenzioni da vivo, piuttosto che da morto, forse non sarebbe andato incontro al suo triste destino.
Ecco perché non comprendo la ragione per la quale non si sufficiente punire severamente gli autori di quel delitto, ma si debba, quasi per forza, elevare il Cucchi sull’altare del martirio di Stato.
Cucchi è stato vittima di due Carabinieri. Quanti Carabinieri sono morti per lo stato e non sono stati proclamati martiri dai media? Quanti genitori di carabinieri uccisi hanno avuto una carriere politica come è stato per la mamma di Carlo Giuliani, ed ora verosimilmente per Ilaria Cucchi?
Forse un carabiniere che muore fa meno rumore ed interessa meno all’opinione pubblica, perché diciamocelo, è solo più facile da accettare.
Riccardo Rodelli