COLLEPASSO (Lecce) – Vittorio Leo era capace di intendere e di volere il 28 maggio quando ha ammazzato il padre gettandogli una bottiglia d’alcol addosso mentre l’anziano si trovava davanti ai fornelli per preparare il pranzo? Per sciogliere il quesito il sostituto procuratore Luigi Mastroniani, pm titolare dell’inchiesta, ha avanzato richiesta di una perizia psichiatrica per accertare, con un incidente probatorio, le condizioni psicofisiche dell’agente immobiliare 48enne di Collepasso.
A breve il gip Giovanni Gallo dovrà decidere se accogliere l’istanza inoltrata dall’ufficio inquirente e, successivamente, fissare la data per il conferimento dell’incarico ad uno specialista (nel caso uno psichiatra). La richiesta degli inquirenti si fonda sulle modalità con cui Vittorio Leo ha ucciso il padre Antonio (professore in pensione di 89 anni) e il vissuto particolarmente difficile dell’uomo sempre detenuto nel carcere di Lecce con l’accusa di omicidio volontario.
L’approfondimento sulle effettive capacità di intendere di volere dell’indagato al momento della tragedia era stato sollecitato, da subito, perché Vittorio Leo non riusciva a focalizzare alcuni momenti topici del fatto, non ricostruiva e non rielaborava l’intera vicenda e tali lacune potrebbero essere state effettivamente determinate da una incapacità di intendere e di volere.
Secondo la ricostruzione dei carabinieri del Nucleo operativo radiomobile di Casarano e del Nucleo investigativo di Lecce insieme ai colleghi della Sezione investigazioni scientifiche, il genitore si trovava ai fornelli, quando Vittorio gli ha lanciato addosso l’alcol contenuto in una bottiglietta che stava utilizzando per medicarsi una ferita, in reazione a una sua offesa, l’ennesima. Le fiamme hanno investito l’anziano che si è trascinato in bagno nel tentativo disperato di spegnerle, ma non gli hanno lasciato scampo. Nel frattempo il figlio, così come dichiarato nell’interrogatorio davanti ai carabinieri e nella successiva udienza di convalida, aveva pulito casa e per rilassarsi aveva anche mangiato un piatto di pasta. Solo dopo cinque ore l’agente immobiliare ha allertato i soccorsi. E quando, in via Sturzo, sono arrivati i sanitari insieme alle forze dell’ordine, per il professore in pensione non c’era più nulla da fare (era morto arso vivo come stabilito dall’autopsia eseguita nei giorni successivi dal medico legale Alberto Tortorella).
Vittorio Leo ha sempre respinto l’ipotesi dell’omicidio. Davanti ai carabinieri la notte della tragedia e nei giorni successivi al cospetto del gip Giovanni Gallo ha sempre sostenuto l’ipotesi dell’incidente. “Non volevo ucciderlo e quando ho visto il corpo di mio padre che ha preso fuoco, sono rimasto immobilizzato dal panico. E alcuni momenti faccio fatica a ricordarli”. E ha ricordato i continui litigi con il padre che non esitava a offenderlo e a rinfacciargli di non essersi mai laureato. Di certo Vittorio non aveva assunto droghe e non era neppure ubriaco. Forse era esausto di un rapporto con il genitore ormai logorato nel tempo.