Ci sono partite nelle quali “chi non se la sente è meglio che resti a casa” e Lecce – Lazio di ieri era una di queste. Il Lecce veniva da sei sconfitte consecutive, 25 reti subite, 6 fatte di cui la metà su calcio di rigore e una classifica che diventava sempre più difficile da guardare. Oltre a questi numeri, a far crescere lo sconforto, era lo spirito messo in campo dai ragazzi di Liverani: passivi, fragili e senza mordente. In qualche frangente si era visto il gioco ammirato negli ultimi due anni ma veniva velocemente mortificato da qualche disattenzione tattica o tecnica che spalancava la vittoria (larga) agli avversari. Sui volti dei giallorossi in campo non si vedeva quella determinazione necessaria per portare a casa il risultato. Per questi motivi la partita di ieri avrebbe potuto rappresentare il colpo ferale alle speranze di sopravvivenza del Lecce. Che poi non era la retrocessione in sé ma il modo in cui stavamo cadendo. C’è poco da fare i permalosi e gli ipocriti, prenderne quattro a partita scalfiva la dignità di tutti. Quando le cose vanno male è giusto che chi ha l’onore di essere a capo di un gruppo (sportivo, sociale, imprenditoriale) si faccia carico anche degli oneri che tale ruolo comporta. Ieri avevamo difronte una delle corazzate di questo campionato, con calciatori di primissimo livello ambiti dai top club europei. Venendo dalle sette sconfitte consecutive e da tutto ciò che avevano portato in dote, in campo ci volevano uomini veri per salvare prima di tutto la dignità.
In queste partite si dimostra il proprio valore, si dimostra di essere arrosto oppure soltanto fumo. In sfide come quella di ieri ci dev’essere un gruppo di uomini che al comando trovano un leader vero capace di guidarli contro tutto e tutti. Marco Mancosu ieri ha dimostrato di essere quel leader! Ha dimostrato di essere un uomo vero capace di andare oltre le sette sconfitte consecutive, oltre i 25 gol subiti, oltre prestazioni imbarazzanti e, ancora, è saputo andare oltre un euro gol (che tale rimane) annullato e un rigore calciato sopra la traversa. Il capitano ieri ha giocato una partita sontuosa e di carattere. Ha inventato una giocata pazzesca in occasione del primo gol di Babacar, ha costretto Strakosha alla deviazione in calcio d’angolo per il gol di Lucioni, ha recuperato palloni nella nostra metà campo, ha fatto ripartire l’azione, ha inventato sulla trequarti, ha pressato la difesa laziale e ha tenuto palla da centravanti boa. Una prestazione da calcio totale nella quale Mancosu si è letteralmente preso sulle spalle la squadra e l’ha condotta alla vittoria. Il suo sguardo in campo non lasciava dubbi, avremmo vinto anche dopo il gol del vantaggio di Caicedo, anche dopo l’errore, che l’ha reso umano, dal dischetto. La partita di Marco Mancosu ieri è stata l’esaltazione del concetto di leader arricchita da una tecnica sublime che ha regalato giocate incredibili degne dei più grandi di questo sport.
Dietro di lui, ovviamente, ci sono stati guerrieri come Gabriel, Lucioni, Donati, Calderoni e potrei continuare sino ad arrivare ai giocatori in tribuna che si sgolavano per incitare i propri compagni. Poi la tempra di Liverani e l’amore verso questi colori del presidente Saverio Sticchi Damiani e del vicepresidente Corrado Liguori. Ieri il Lecce ha regalato, a quanti lo amano, una giornata fantastica che va oltre il risultato che maturerà alla fine di questa stagione. Questo è il Lecce che fa tremare, piangere e urlare d’emozione; non per il risultato ma per quello spirito indomito messo in campo da tutti, quegli sguardi non più impauriti ma determinati a vender cara la pelle. Con in testa lui, il capitano con la fascia al braccio che è tale nell’accezione più nobile del termine perché per il Marco Mancosu di ieri è giusto alzarsi su un tavolo e gridare: “Capitano o mio capitano”.