Verso quale iter

Siamo nell’era dell’immagine e la tecnologia aiuta a tradurre in immagine anche il suono, creando col sintetizzatore una simultaneità sonoro-visiva che spesso fa da sfondo scenografico a molti concerti e spettacoli canori e crea dei memi iconografici che risuonano nella nostra mente alla stregua dei memi sonori dei ritornelli delle canzoni.

Nello stesso modo il computer è in grado di creare delle immagini partendo da dati e formule matematiche, di elaborare delle simulazioni di oggetti astronomici lontanissimi o microscopici, così da estendere la gamma delle conoscenze tanto nell’iperspazio, quanto nello spazio microscopico, per simulare la vita sub particellare trattata nella fisica quantistica.

Le ultime conquiste tecnologiche, che comprendono anche la Robotica e l’Intelligenza Artificiale, ci pongono di fronte ad un problema etico sinora non ancora affrontato nella valutazione e nell’applicazione della nota e tanto diffusa Realtà Virtuale. Questa fa parte, oramai, di un linguaggio che ci appartiene, essendosi posta sinora tanto a sostegno delle comuni attività umane, quanto delle più elaborate scoperte scientifiche, confermando con le “immagini simulate” la fondatezza delle relative ricerche e le teoriche premesse di quelle scoperte. Ha permesso, così, di comprenderle meglio proiettando la visione umana al di là della realtà visibile, estendendola idealmente negli spazi infiniti dell’universo.

Tale linguaggio della Realtà Virtuale, che perciò ci appartiene e sostiene ogni campo del sapere, si è posto di fatto a fianco, e a superamento, della fotografia tradizionale -nata per cogliere la realtà nell’immediatezza di uno scatto- e, a fianco e a superamento, delle riprese cinematografiche, che di quella realtà documentano anche la dinamica che la rende vitale.

All’interno di tale tranquillizzante scenario, a volte però, nei momenti in cui quella realtà dovrebbe essere obiettivamente documentata, è subentrato il rischio che venissero date come “veritiere” delle immagini e delle scene di vita che, invece, estrapolate da un contesto più ampio che ne sosteneva il senso, finivano per modificare e travisare il significato originario dei fatti.

Tale presupposto di manipolazione della realtà rientra tra i rischi che offre il rovescio di ogni medaglia posta in mano all’uomo, a partire dalla primordiale punta di lancia, ideata per la sopravvivenza, che diviene invece ben presto la sua prima arma letale.

A questo punto subentra il problema di come poter incanalare in senso positivo una vitalità che per il filosofo Bergson è insita nell’uomo e che per slanci di vita eccessivi e travisanti può produrre anche effetti negativi, devastanti e distruttivi.

Egli denominava, infatti “slancio vitale” (élan vital) lo spirito prettamente umano, proveniente dall’intimo dell’individuo e proiettato all’esterno verso l’universo, all’insegna di un finalismo spirituale orientato al bene per mezzo di un “progresso-avanzamento”.

Ciò presuppone, però, un’educazione ad operare secondo un iter costruttivo, ponendolo dichiaratamente e inequivocabilmente in opposizione, nelle idee e nei fatti, all’annichilente iter palesemente segnato (anche nelle immagini più realistiche) dal disumano e letale “regresso-distruttivo”.

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