SALENTO – «Sono ancora troppo “pochi” i suicidi affinché si generi un dibattito pubblico?». Questa è la domanda da cui parte un editoriale sulla nota rivista JAMA Psychiatry, the Journal of American Medical Association lo scorso 17 agosto. Dagli adolescenti agli anziani, anche nel Salento sembra un bollettino di guerra: è venuta l’ora di superare tutta questa indifferenza. In realtà, i suicidi sono sempre stati un tabù: nelle vecchie redazioni dominava la convinzione che non fossero notizie interessanti, che il pubblico avrebbe rifiutato simili letture. Non è così: l’articolo di una 18 enne leccese suicida, pubblicato sul Corrieresalentino.it, ha fatto 500 mila click in poche ore e anche gli altri episodi simili sono molto seguiti: i lettori, evidentemente, ritengono questi articoli interessanti e, probabilmente, si pongono delle domande sul disagio che avanza in una società altamente competitiva come la nostra e che spesso riesce a sopraffare i più fragili. C’è un pericoloso senso di vergogna sociale ogni qual volta che si parla di suicidio, ovvero di un fenomeno diffusissimo nella nostra società, in tutti gli strati sociali.
«Sono anni che mi occupo di prevenzione del suicidio, collaborando a Progetto SOPRoxi, nato a Padova nel 2006 – spiega Stefano Totaro, psicologo salentino, che fa parte del progetto SOPRoxi, per familiari e amici che hanno perso un caro per suicidio – Con altri colleghi nel 2013 abbiamo fondato SOPRoxi onlus, associazione che opera a Padova e su scala nazionale tramite il sito web (www.soproxi.it), con la quale ci occupiamo di fornire supporto a familiari ed amici che hanno perso un caro per suicidio. Questo che facciamo con SOPRoxi in realtà si chiama “postvention” o prevenzione terziaria, ossia l’aiuto operato su chi resta. Noi arriviamo dopo, quindi, ma sempre in tempo per tentare di ristabilire un equilibrio in una situazione che di equilibrato ha ben poco. In SOPRoxi riceviamo decine di richieste di aiuto al mese, ma potrebbero essere molte di più se solo di suicidio si potesse parlare senza vergogna».
L’articolo citato sopra, con il titolo provocatorio, apre con i numeri americani che il fenomeno suicidario porta con sé (i cui tassi sono sovrapponibili a quelli italiani). Infatti il suicidio è la dodicesima causa di morte tra la popolazione mondiale. Gli ultimi dati italiani mostrano il suicidio come la seconda causa di morte tra i giovani (tra i 15 e i 44 anni) subito dopo gli incidenti stradali. Con l’avanzare dell’età le principali cause di morte diventano le malattie cardiovascolari e i tumori. «L’articolo, provocatorio, tenta di fare il confronto con le altre malattie che occupano la classifica delle principali cause di morte nella popolazione mondiale (HIV/AIDS, malattie cardiovascolari, tumori) affermando che fino a pochi decenni fa queste malattie creavano milioni di morti, prima di aver ricevuto ingenti investimenti per la ricerca scientifica, che va avanti ed è essenziale in quanto ha dato la chance della sopravvivenza a milioni di persone».
Perché non si fanno campagne sociali contro il suicidio? Siamo sicuri che a scuola e nelle famiglie lo Stato dia i giusti mezzi per aiutare i più fragili? «La prevenzione e le campagne sociali hanno permesso di abbattere lo stigma che prima aleggiava attorno a queste malattie – spiega lo psicologo – Gli “stigma fighters” (coloro che combattono per abbattere lo stigma) come vengono chiamati nell’articolo, si sono battuti affinché si parlasse del problema e si agisse a livello sociale e politico. Pensiamo ad esempio alle lotte dei familiari delle vittime degli incidenti stradali, hanno conquistato attenzione pubblica che si è tramutata in prevenzione generale del fenomeno oltre che in legiferazione politica. Pensiamo ai numerosi loghi associati alle campagne sociali e pubblicitarie di prevenzione, per i tumori, per l’HIV/AIDS, per la prevenzione della salute in generale. Ed il suicidio? Il suicidio è il secondo problema di morte tra i giovani e, nonostante ciò, non ha un dibattito pubblico al pari dei restanti fenomeni e delle restanti malattie ugualmente mortali. Nel 2014 l’istituto nazionale americano di salute ha ricevuto 39 milioni per ricerche relative alla prevenzione del suicidio e quasi 3 billioni per ricerche relative all’HIV/AIDS».
«Non sembra un paradosso? – si interroga l’esperto – Il suicidio spaventa come spaventa ogni problematica che conduce alla morte. In più però, dietro di sé, ha la vergogna del gesto che lo porta ad essere affare privato della singola famiglia che soffre, in silenzio. Ed è dunque così che il suicidio tesse attorno a sé un velo inestimabile di stigma che un tale silenzio assordante non riesce ad abbattere. Sono quindi ancora troppo “pochi” i suicidi affinché si generi un dibattito pubblico? Sono ancora troppo “pochi” i suicidi affinché si possano avere fondi consistenti per la ricerca scientifica (dunque prevenzione)? Purtroppo i suicidi sono anche troppi, ma il dibattito pubblico è lasciato ad altri temi. Il titolo dell’editoriale quindi, provocatorio, tenta di abbattere i muri del silenzio con un solo messaggio: di suicidio si deve parlare. Se vogliamo prevenirlo dobbiamo portarlo nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi pubblici e fare prevenzione attraverso progetti mirati. Noi di SOPRoxi ci siamo».
Ecco il punto da cui partire, dunque, bisogna cominciare a parlarne, esaminare le cause: accompagnare chi ha bisogno di aiuto verso terapie che lo possano salvare. Il prossimo 10 settembre ricorre la giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, come ogni anno. «Ve lo assicuro, nessuno ne parla, se non i pochi esperti del settore. Basta fare una semplice ricerca in google per apprendere il vuoto che questa campagna porterà con sé nel 2016. Molti eventi sono presenti nel mondo per sottolineare la corretta prevenzione, in Italia pochi. Questo il messaggio lanciato dalla IASP (Associazione Internazionale per la Prevenzione del suicidio): L’importante è non far finta che il suicidio non ci appartenga, perché ci appartiene più di quanto noi lo crediamo, nell’ondata di sofferenza che tale gesto porta con sé e nell’ondata di sofferenza che lascia quando il gesto purtroppo avviene poiché non si è riusciti a prevenirlo (o a preventivarlo).Tempo fa un gruppo di mamme, amiche di SOPRoxi, ha lanciato un messaggio, #restaconnoi (http://www.soproxi.it/wp-content/uploads/2012/10/RESTAconNOI_pdf.testo_.pdf) che riteniamo essenziale condividere, in vista del prossimo 10 settembre. Perché la prevenzione parte dal basso. La prevenzione parte da noi».
Gaetano Gorgoni