Il termine «mobbing» deriva dal verbo inglese «to mob», che è stato coniato dagli etologi per designare il comportamento aggressivo di alcune specie animali all’interno del proprio gruppo e che letteralmente significa «accerchiare, attaccare, aggredire in massa».
Dal mondo animale tale termine è stato traslato al contesto dei rapporti umani per indicare il “Complesso di comportamenti aggressivi, vessatori o subdoli messi in atto sul posto di lavoro ai danni di un lavoratore per indurlo a dimettersi”.
I motivi della persecuzione possono essere i più svariati: invidia nei confronti del collega più capace, razzismo, diversità religiosa o culturale rispetto al gruppo prevalente, carrierismo sfrenato o semplice gusto nel far del male ad un’altra persona. Inquadrabili nel mobbing sono anche le molestie sessuali commesse dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o da colleghi, ivi compresi i corteggiamenti indesiderati e le c.d. «proposte indecenti».
Nonostante la crescente diffusione del fenomeno sul piano fattuale manca però, a tuttoggi, una sua regolamentazione specifica sul piano normativo, sicchè i giudici hanno attribuito tutela ai singoli lavoratori «mobbizzati» facendo leva su altre norme già esistenti nell’ordinamento dello Stato.
È grazie ai precedenti giurisprudenziali, dunque, che sono stati individuati gli elementi identificativi del mobbing, che sono:
– la presenza di almeno due soggetti, il mobber (parte attiva) ed il mobbizzato (parte passiva), che entrano in contrasto tra di loro;
– l’attività vessatoria o aggressione psicologica, effettuata con comportamenti tipici, cioè caratteristici del rapporto di lavoro (es. trasferimento, provvedimenti disciplinari, dequalificazione professionale) o con comportamenti atipici, di per sé non attinenti al rapporto di lavoro (es. evitare di parlare col mobbizzato, ridicolizzarlo), o con gli uni e gli altri;
– la sistematicità e continuità delle vessazioni, che devono essersi ripetute per un apprezzabile periodo di tempo.
Quando concorrono tali elementi (e solo allora) sarà lecito parlare di mobbing.
Queste sono le principali regole che vi consiglio di seguire se siete vittime del mobbing:
– Abbiate pazienza e non fatevi prendere dalla depressione, né pensiate di risolvere tutto abbandonando il lavoro: la battaglia contro il mobbing sarà lunga e difficile ma alla fine, se avrete saputo organizzarvi, sarete voi a vincerla;
– Cercate di scaricare la tensione accumulata sul posto di lavoro frequentando gli amici e curando gli affetti;
– Al contempo, raccogliete meticolosamente le prove delle vessazioni subite: è infatti necessario documentare le azioni mobbizzanti poste in essere nei vostri confronti. Pertanto: 1) Conservate le comunicazioni scritte provenienti dal datore; 2) Mettete per iscritto e spedite per raccomandata A.R. ogni vostra richiesta, oppure fatela protocollare; 3) Tenete un diario in cui racconterete sinteticamente ogni azione mobbizzante, avendo cura di indicare data, ora, luogo e le persone presenti; 4) Cercate di trovare qualche collega disposto a testimoniare; 5) Se occorre, registrate di nascosto le conversazioni con il vostro «aguzzino»;
– Prendete nota delle conseguenze psico-fisiche sul vostro organismo delle azioni mobbizzanti e raccogliete l’eventuale documentazione medica relativa: il mobbing infatti fa ammalare, causando problemi sia psichici (ansia, depressione, attacchi di panico, ecc.) sia fisici (mal di testa, palpitazioni cardiache, acidità gastrica, appetito eccessivo, ecc.). Quest’accortezza vi sarà particolarmente utile al fine di ottenere un cospicuo risarcimento;
– Infine, investite del problema il vostro avvocato di fiducia.
Prima però di determinarvi definitivamente a «scendere sul piede di guerra» e a ricorrere alle precauzioni appena indicate, il mio modesto consiglio è di provare a vedere se cambia nulla assumendo, per quanto possibile, un atteggiamento elastico e collaborativo sul posto di lavoro, perché potrete ottenere un risarcimento in denaro anche ingente per il mobbing subìto, ma nessuna causa vi potrà restituire la salute, una volta che l’avrete persa.
avv. Antonio CHIRICO – LECCE, via Birago n. 53
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